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Capolavori italiani a confrontoComparing Italian Masterpieces
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CAPOLAVORI DELL'ARTE ITALIANA A CONFRONTO
una mostra impossibile

COMPARING ITALIAN MASTERPIECES
an Impossible Exhibition

La mostra Capolavori dell'arte italiana a confronto presenta le riproduzioni, in altissima definizione, di dipinti e affreschi dei maggiori pittori italiani vissuti tra il XIV e il XVII secolo: 40 opere d’arte disseminate in musei, chiese e collezioni private di diverse città del mondo.

Una “lettura comparata” di opere d’arte non è un’impresa facile ma un percorso impegnativo e affascinante. Il confronto si può instaurare tra maestro e discepolo, come Perugino e Raffaello, o seguendo un tema molto noto in epoche e aree diverse, come ad esempio l’iconografia sacra nelle sue multiformi espressioni o la ritrattistica. Un confronto implica un’indagine e ha come risultato una verifica e molte riflessioni. Dalla visione diretta di opere simili per tema o per soggetto emergono dettagli, analogie, differenze, si delinea la personalità dell’artista, la sua dipendenza o l’affrancamento da modelli, si può meditare su motivazioni politiche, religiose, culturali, sociali che hanno influenzato, a volte costretto, le modalità di realizzazione. L’opera d’arte chiede sempre di essere non solo ammirata ma analizzata e, soprattutto, compresa. Allora l’emozione diverrà consapevolezza della possibilità di un dialogo tra il messaggio di ieri e lo spettatore di oggi. 

Le Mostre Impossibili è un progetto ideato e diretto da Renato Parascandolo con la direzione scientifica di Ferdinando Bologna, il prestigioso storico dell’arte scomparso nel 2019.

La mostra Capolavori italiani a confronto è curata da Maria Teresa de Vito e Giovanna Lazzi. 

The exhibition Italian Masterpieces Compared presents high-definition reproductions of paintings and frescoes by the greatest Italian painters living between the XIV and XVII century: 40 works of art spread in museums, churches and private collections from different cities worldwide.

A “compared reading” of works of art is not a simple undertaking, but a challenging, fascinating path. The comparison may be made between master and disciple, like Perugino and Raphael, or following a well-known theme in different periods and areas, such as holy iconography in its manifold expressions or portraiture. Comparison implies investigation and leads to verification and many reflections. Direct vision of works with similar themes or subjects yields details, analogies, differences, delineating the personality of the artist, his dependence on or freedom from models, so as to meditate on the political, religious, cultural, social motivations affecting - sometimes forcing - the creation methods. A work of art always wishes to be not only admired but also analysed and, above all, understood. Then emotion becomes awareness of the possibility of dialogue between the message of yesterday and the viewer of today. 

The Impossible Exhibition is a project conceived and directed by Renato Parascandolo under the scientific direction of Ferdinando Bologna, the prestigious art historian who passed away in 2019.

The exhibition Italian Masterpieces Compared is curated by Maria Teresa de Vito and Giovanna Lazzi.

Il catalogo della Mostra ImpossibileCapolavori italiani a confrontoComparing Italian Masterpieces

AnnunciazioneAnnunciation

Domenico VenezianoDomenico Veneziano

La tavoletta costituiva la parte centrale della predella della pala dell’altare maggiore nella Chiesa di Santa Lucia de’ Magnoli di Firenze, realizzata intorno al 1445. La razionale architettura, accuratamente studiata nel nitore classico delle colonne che suggeriscono un cortile con spazi perfettamente definiti, cattura l'attenzione e plasma i ruoli dei protagonisti, quasi bloccati nel tempo e nello spazio dall'assoluto rigore geometrico. L'Arcangelo annunciante inginocchiato alza l'indice al cielo ad indicare la provenienza del divino messaggio di cui è latore. Il giglio bianco, tradizionale attributo della Vergine, è proprio diretto verso Maria, pudica e raccolta, con le braccia incrociate sul petto, il manto azzurro che quasi scivola e svela la gamurra rossa, simbolo della passione di Cristo. Le vesti di Gabriele, dai colori invertiti, sottolineano il particolare rapporto tra i due personaggi, diversi ma ugualmente sacri, chiusi nella propria sfera e nel proprio ruolo, quello di messaggero divino di Gabriele e quello di umile accettazione di Maria, ognuno perfettamente inserito nello spazio che gli compete, distanti  ma uniti in un muto colloquio di gesti e di sguardi. La rigorosa prospettiva centrale identifica, come in una sacra rappresentazione, i luoghi deputati, enfatizzata dalla partitura del pavimento. Dalla scatola architettonica lo spazio si dilata verso il giardino, chiuso sullo sfondo in una delicata allusione all'hortus conclusus simbolo della purezza della Madonna, ma adorno di verzura a suggerire la natura, il mondo esterno in armonico rapporto con l'uomo.

 Testo di Giovanna Lazzi

©Tutti i diritti riservati

 

This panel is part of the predella of the altarpiece in the Church of Santa Lucia de’ Magnoli in Florence, made around 1445. Rational architecture, accurately studied in the classical sheen of the columns, which suggest a courtyard with perfectly defined areas, captures our attention and forms the roles of the subjects, almost frozen in the time and space of complete geometrical rigour. The announcing Archangel kneels and raises his index finger towards the sky, to indicate the origin of the divine message he bears. The white lily, a traditional attribute of the Virgin, is directed towards Mary, chaste and contained with her arms crossed over her breast and a blue cloak that almost slips down to reveal the red gamurra, symbolising the Passion of Christ. The clothes of Gabriel, their colours inverted, emphasise the special relationship between the two subjects, different but equally sacred, closed in their own sphere and role, those of Gabriel the divine messenger and Mary the humble acceptor, each one perfectly inserted into the space that delimits them, distant but joined a silent exchange of gestures and looks. As in a sacred play, the rigorous central perspective identifies the assigned areas, emphasised by the orchestration of the floor. The space spreads from the architectural structure towards the garden, closed in the background in a delicate allusion to the hortus conclusus, a symbol of the Madonna’s purity, but adorned with vegetation so as to suggest nature, the outer world in a harmonious relationship with mankind.

Text by Giovanna Lazzi

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AnnunciazioneAnnunciationAnnonciation

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Sintesi della lezione appresa da Leonardo nella bottega di Andrea del Verrocchio, maestro dell’artista a Firenze, l’opera, destinata al refettorio della chiesa fiorentina di San Bartolomeo a Monte Oliveto, è concepita per una collocazione all'interno di una copertura lignea della parete, come in uso nelle case dell'epoca, motivo delle presunte incongruenze spaziali-compositive sempre denunciate dalla critica. Nell’insieme colpiscono i motivi ornamentali del leggìo a sinistra della Vergine, desunti dal sarcofago (1472) della tomba di Giovanni e Piero de’ Medici (Firenze, San Lorenzo, Sacrestia Vecchia) realizzato dall’officina verrochiesca: elementi indiziari di una cronologia assestabile tra il 1472-73. L’atmosferica trasparenza del paesaggio roccioso al centro del fondo è precoce attestazione delle sperimentazioni prospettiche caratterizzanti i successivi capolavori leonardeschi. 

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

APPROFONDIMENTO

Leonardo si allontanò dall'iconografia tradizionale del tema dell'Annunciazione ambientando la scena in un giardino invece che in un luogo chiuso come voleva la tradizione medievale, in allusione al concepimento di Maria. La purezza della Vergine è allusa anche dal giglio che Gabriele le porge, secondo la tradizione, e ancora a lei, madre di Cristo e emblema della Chiesa, sono associati i cipressi che svettano sul fondo, in virtù della caratteristica di crescere allungati verso il cielo. E infine la conchiglia che sormonta il festone con foglie, frutta e fiori, è uno dei simboli mariani, legati alla coltissima concezione neoplatonica della Venere Urania, l'Afrodite celeste, la madre universale, che mediante l'amore purificato conduce l'uomo alla catarsi. I consueti canoni iconografici sono rispettati dalla collocazione l'Angelo a sinistra e della Madonna a destra, ma l'espediente di porre la figura femminile in un angolo consente di intravedere lo spazio interno della camera da letto. Un muretto che delimita il giardino si apre un passaggio verso l'ampio scorcio di paesaggio, un fiume con anse e barche, montagne punteggiate da torri e alberi. La scena si svolge dunque in uno spazio riservato e discreto ma non chiuso in quanto l'apertura al mondo naturale sembra voler sottolineare come il miracolo dell'Incarnazione divina coinvolga l'intero creato. I fiori del prato e tutte le altre specie vegetali appaiono studiati dal vero, con precisione lenticolare botanica, con attenzione da scienziato e sono solo in parte riconducibili a influssi fiamminghi. La luce è chiarissima, mattutina, e ammorbidisce i contorni delle figure, mentre l'impostazione spaziale è resa piuttosto dal digradare progressivo dei colori, soprattutto nello sfondo già immerso nella foschia dello "sfumato". In alcuni punti si possono addirittura notare le impronte digitali dell'artista, che talvolta stemperava il colore con i polpastrelli, come si riscontra sulle foglie dei festoni alla base del leggio e sulle dita della mano destra della Vergine. Il nitido rigore della prospettiva geometrica rimane nei dettagli architettonici, le proporzioni dell'edificio - una costruzione civile dai muri intonacati - del pavimento e del leggio, con un punto di fuga al centro della tavola. Lo spazio è, quindi, costruito con la luce mentre il colore rende l’atmosfera, le tinte azzurre creano la profondità, i colori chiari e freddi la lontananza i caldi il primo piano. Il candore del guarnello, la tipica veste degli angeli, si illumina del rosso del mantello soppannato da quel verde della speranza e la semplice gonnella cinta di Maria concede alla moda solo il taglio delle maniche da cui si intravede la camicia. L'incarnato dell'angelo è pallido e piatto molto diverso da quello del Battesimo di Cristo mentre la Madonna appare compostamente assorta nell'accettazione della sua missione, che sancisce con il gesto della mano aperta mentre l'altra è poggiata sulla Bibbia, aperta ad un passo di Isaia in greco e appoggiata su un velo meraviglioso, impalpabile nella sua sorprendente trasparenza. La scena sacra, tante volte ripetuta, assume un sapore particolare alla luce dell'insegnamento umanistico: l'incarnazione assicura la redenzione in un mondo però dove l'uomo vive in simbiosi con la natura, dove l'ordine assicura la calma, dove l'interno si apre all'esterno, dove tutto fluisce secondo regole precise e dove la ragione prevale sulla forza perché, come dice Leonardo nel Trattato della pittura, dove "manca la ragione suppliscono le grida".

Testo di Giovanna Lazzi    

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Synthesis of the lessons learnt by Leonardo in the workshop of Andrea Verrocchio, the artist’s Florence master, this work was designed for the refectory of the Florentine Church of San Bartholomew at Monte Oliveto. It was conceived to be placed in wooden wall covering above, which explains the alleged incongruences in space and composition that critics have always pointed out. Overall, one is struck by the ornamental motifs on the lectern to the Virgin's left, gleaned from the sarcophagus of the tomb of Giovanni and Piero de’ Medici (Florence, San Lorenzo, Sacrestia Vecchia), made by Verrochio's laboratory. The atmospheric transparency of the rocky landscape mid-background is a precocious attestation of the perspective experimentations that would characterise future Leonardo masterpieces.

Text by Maria Teresa Tancredi

 

IN-DEPHT

Leonardo moved away from the traditional iconography of the theme of the Annunciation, setting the scene in a garden rather than the closed area in Medieval convention, a hortus conclusus, alluding to the conception of Mary. There is further reference to her purity in the lily that Gabriel hands her, in accordance with tradition, and the cypresses soaring in the background are also associated with her as mother of Christ and emblem of the church, in that they grow up towards the sky. Further, the shell surmounting the garland with its leaves, fruit and flowers is one of the symbols of Mary, linked to the cultured Neo-Platonic conception of Venus Urania, celestial Aphrodite, the universal mother, who leads man to catharsis through purified love. The usual iconographical canons are respected by placing the Angel to the left  and the Madonna to the right, but the expedient of positioning the female figure in a corner reveals the space inside the bedroom. The wall bordering the garden opens up a wide view of the landscape, including a river with curves and boats, and mountains dotted with towers and trees. So the scene is played out in an area that is reserved and discrete but not closed, as the opening to the natural world may highlight how the miracle of the divine Incarnation involves all creation. The flowers on the meadow and all the other vegetable species seemed to have been studied in reality, with a precise botanical lens and scientific interest, and can only partly be attributed to Flemish influence. The clear, morning light softens the figures’ borders, while the spatial setting is dominated by the progressive fading of colour, especially in the background, which is already immersed in the "sfumato" mist. Some elements actually reveal the fingerprints of the artist, who sometimes tempered the colours with his fingertips, as shown by the garland leaves at the base of the lectern and the fingers of the Virgin’s right hand. The sharp rigour of geometrical perspective remains in the architectural details, the proportions of the floor, the building – a civilian construction with plastered walls – and the lectern, with a vanishing point at the centre of the table. The space is, then, formed with light, while colour fashions atmosphere, with depth created by the blue tints create depth, distance by the clear, cold colours, and the foreground by the cold colours. Light bounces off the wall, illuminating the characters’ faces and hair and modelling the architectural elements and the flowing drapery of the dresses in their classical cadences. The white of the fringe, the typical angel’s attire, is brightened by the red of the cloak, underlain by the green of hope and Mary’s simple girded skirt concedes to fashion only the cut of the sleeve, showing her blouse. The incarnation of the angel is pale and flat, quite unlike the one in the Baptism of Christ, while the Madonna appears composed, absorbed in accepting her mission, which she seals by opening one hand, as the other is placed on the Bible, displaying a passage from Isaiah, symbolising the truthfulness of Scripture, protected, in a mark of sacred respect, by the wondrous veil, impalpable in its surprising transparency. The Madonna appears composed, absorbed in accepting her mission, which she seals by opening one hand, as the other is placed on the Bible, displaying a passage from Isaiah, symbolising the truthfulness of Scripture, protected, in a mark of sacred respect, by the wondrous veil, impalpable in its surprising transparency. This oft-repeated holy scene takes on peculiar style in the light of humanistic teaching: the incarnation ensures redemption in a word where man lives in symbiosis with nature, order guarantees calm, the internal opens to the external, everything flows according to precise rules, and reason prevails over force because, as Leonardo wrote in the Treatise on Painting, “where reason fails, cries beseech".

Text by Giovanna Lazzi

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Synthèse de lenseignement tiré par Léonard de latelier dAndrea del Verrocchio, maître de lartiste à Florence, l’œuvre, destinée au réfectoire de l’église florentine de San Bartolomeo à Monte Oliveto, est conçue pour être placée à lintérieur dun revêtement mural en bois, selon lusage dans les demeures de l’époque, ce qui expliquerait les présumées incongruences spatiales dans la composition que la critique a toujours dénoncées.

Léonard s’éloigna de liconographie traditionnelle du thème de lAnnonciation en situant la scène dans un jardin plutôt que dans un lieu clos comme le voulait la tradition médiévale, en référence à la conception de Marie. La pureté de la Vierge est également suggérée par le lys que Gabriel lui tend, selon la tradition, et cest encore à elle, mère du Christ et emblème de lEglise, que sont associés les cyprès qui se dressent en arrière-plan, eu égard à leur particularité de pousser allongés vers le ciel. Enfin le coquillage qui surmonte le feston orné de feuilles, fruits et fleurs, est un symbole marial, lié à la très savante conception néoplatonicienne de la Vénus Uranie, lAphrodite céleste, la mère universelle, qui grâce à lamour purifié conduit lhomme à la catharsis. Les canons iconographiques habituels sont respectés par la position de lAnge à gauche et de la Madone à droite, mais lexpédient consistant à placer le personnage féminin dans un coin permet dentrevoir lespace intérieur de la chambre à coucher. Un muret qui délimite le jardin ouvre un passage vers la vue étendue du paysage, un fleuve avec ses anses et des barques, des montagnes ponctuées de tours et darbres. La scène se déroule donc dans un espace réservé et discret mais pas fermé dans la mesure où louverture sur le monde naturel semble vouloir souligner la manière dont le miracle de lIncarnation divine implique la totalité de la création. Les fleurs du pré et toutes les autres espèces végétales apparaissent étudiées daprès la réalité, avec une précision botanique lenticulaire, une attention de scientifique et ne sont quen partie attribuables aux influences flamandes. La lumière est très claire, matinale, et adoucit les contours des personnages, tandis que la disposition de lespace est plutôt rendue par le dégradé progressif des couleurs, surtout pour larrière-plan déplongé dans la brume du sfumato. A certains endroits on peut même remarquer les empreintes digitales de lartiste, qui parfois délayait la couleur du bout des doigts, comme on le retrouve sur les feuilles des festons à la base du pupitre et sur les doigts de la main droite de la Vierge. La rigueur nette de la perspective géométrique réside dans les détails architecturaux, les proportions de l’édifice – une construction civile aux murs enduits du dallage et du pupitre, avec le point de fuite au centre du panneau. Lespace se construit donc avec la lumière tandis que la couleur rend latmosphère, les teintes azurées créent la profondeur, les couleurs claires et froides le lointain et les couleurs chaudes le premier plan. La candeur du guarnello, le vêtement caractéristique des anges, sillumine du rouge du manteau doublé de ce vert de lespoir et la simple jupe avec ceinture de Marie ne concède à la mode que louverture dans les manches à travers laquelle on aperçoit la chemise. La carnation de lange est pâle et plate, bien différente du Baptême du Christ, tandis que la Madone apparaît sobrement absorbée dans lacceptation de sa mission, quelle approuve dun geste de sa main ouverte quand lautre est posée sur la Bible, ouverte sur un passage dIsaïe en grec et reposant sur un voile merveilleux, impalpable dans sa surprenante transparence.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Annunciazione di CestelloCestello AnnunciationAnnonciation dite du Cestello

Sandro BotticelliSandro BotticelliSandro Botticelli

L'Annunciazione, realizzata nel 1489 - 90 per la cappella della famiglia Guardi nella chiesa del Cestello, è conservata agli Uffizi dal 1872. L’intensa drammaticità che pervade la scena, pur nella sua iconografia notissima e codificata, rammenta la profonda inquietudine mistica del pittore dovuta alle suggestioni delle prediche di Girolamo Savonarola. Lo suggerisce la torsione del corpo di Maria, che interrompe la lettura per volgersi verso l’angelo, appena atterrato con il manto ancora sollevato dal vortice del vento. La stanza si apre come una quinta teatrale verso lo sfondo dove, dalla finestra, appare chiaro e nitido un paesaggio ben delineato di ispirazione fiamminga, mentre il pavimento, nella sua partizione geometrica, rivela un attento studio prospettico. Il muto colloquio tra i due protagonisti è sottolineato dall’intenso gioco di sguardi, dove si coglie la riflessione del pittore sulla fede e la bellezza, quel dramma interiore che pervade l’ultima fase della sua produzione.

Testo di Giovanna Lazzi

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The Annunciation, made in 1489 - 90 for the Guardi family's chapel in Cestello Church, has been conserved at the Uffizi since 1872. The intense drama pervading the scene, even in its famed, codified iconography, recalls the painter's deep mystical disquiet due to the effects of Girolamo Savonarola's preaching. It is implied by the twisting of Mary's body, as she interrupts her reading to turn to the angel, who has just landed, her mantel still lifted by the vortex of wind. The room opens like a theatre stage towards the background, where the window displays a clear, fine countryside, well delineated and inspired by Fleming art, while the geometric partition of the floor reveals a careful study of perspective. The silent talk between the two main characters is underlined by an intense interplay of gaze, in which one grasps the painter's reflection on faith and beauty, that interior drama pervading the final phase of production. 

Text by Giovanna Lazzi

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Lintensité dramatique qui envahit la scène, malgré son iconographie très connue et codifiée, rappelle la profonde inquiétude mystique du peintre due aux suggestions des prêches de Jérôme Savonarole. Cest la torsion du corps de Marie qui le suggère, elle qui interrompt sa lecture pour se tourner vers lange, qui vient juste datterrir comme lindique son manteau qui se soulève encore sous le tourbillon du vent. La pièce souvre comme une coulisse de théâtre vers larrière-plan où, par la fenêtre, apparaît un paysage clair et net, bien tracé, dinspiration flamande, tandis que le sol, dans sa partition géométrique, révèle une étude scrupuleuse de la perspective. Lentretien muet entre les deux protagonistes est souligné par lintense jeu des regards, où lon saisit la réflexion du peintre sur la foi et la beauté, ce drame intérieur qui envahit la dernière phase de sa production.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Annunciazione di RecanatiRecanati AnnunciationAnnonciation de Recanati

Lorenzo LottoLorenzo LottoLorenzo Lotto

Il notissimo tema dell'Annunciazione viene rivisitato in una visione originale e personale, tanto che l'opera pare leggersi a due livelli. Colpisce il nitore della stanza ordinata che si apre verso il giardino ben curato e chiuso dal muro in allusione all’hortus conclusus mariano, simbolo di purezza virginale e di un mondo preservato dal peccato. Ma la perfezione dell'ambiente sembra contraddetta dalle reazioni improvvise e impetuose dei personaggi, incluso il particolare straordinario del gatto, che scappa impaurito con la schiena arcuata. La Vergine, quasi spaventata dalla missione che l'attende e che pure mostra di accettare con il gesto delle mani oranti da umile ancella, è evidentemente colta di sorpresa dall'improvviso "atterraggio" dell’angelo, piombato nella stanza con i capelli ancora scompigliati, che indica Dio Padre anche lui preso in un vortice.

Il divino messaggero indossa il guarnello tipico degli angeli ma di un azzurro intenso e luminoso segno della sua missione sacrale. La Madonna, nonostante l'abbigliamento reso canonico dall'iconografia tradizionale, nell'atteggiamento e nella tipologia delle vesti rivela la sua natura umana, anzi da donna del popolo scoperta nella sua quotidianità.

L'estremo dinamismo della scena ben rappresenta la fulminea incursione del divino in un ambiente domestico, che provoca sorpresa e stravolgimento nei presenti. I contrasti luministici e cromatici sottolineano le reazioni e i sentimenti dei protagonisti creando "quel miracolo di sinfonia cromatica, tutta atonale, delle vesti della Vergine: rossi, rosa, azzurri dove, appunto, si insinua tra le pieghe e i risvolti fino a raggiungere quelle mani indifese e imploranti” come scrive Pietro Zampetti.

Testo di Giovanna Lazzi

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The well-known theme of the Annunciation is revisited in an original, personal vision, so that the piece may be read on two levels. The viewer is struck by the sheen of the ordered room opening to the well-closed garden, tended by the wall in allusion to Mary’s hortus conclusus, symbol of virginal purity and a world preserved from sin. But the perfection of the environment seems contradicted by the subjects’ sudden, impetuous reactions, including the extraordinary detail of the cat fleeing in fear, its back arched. The Virgin, almost afraid of the mission awaiting her, also shows her acceptance with the gesture of the hands praying a humble handmaid, and is clearly caught by surprise by the unexpected “landing” of the angel, swooping into the room, hair still ruffled, pointing to God the Father, caught in the vortex.  

The divine messenger wears the lily, typical of angels but in an intense, luminous blue indicating the sacred mission. Although the Madonna’s clothing is rendered canonical through traditional iconography, her attitude and type of attire reveal her nature as human and indeed a woman of the people exposed in everyday life.

The extreme dynamism of the scene well portrays the lightning entrance of the divine into a domestic setting, surprising and overwhelming those present. The lighting and chromatic contrasts emphasise the subjects’ reactions and feelings, creating “that miracle of fully atonal chromatic symphony of the Virgin’s clothes: red, pink, blue where those defenceless, imploring hands emerge from the twist of turns and folds,” as Pietro Zampetti writes.

 Testo di Giovanna Lazzi

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Le thème bien connu de lAnnonciation est revisité dans une vision originale et personnelle, au point que l’œuvre semble se lire à deux niveaux. On est frappé par la clarté de la pièce rangée qui souvre sur le jardin bien entretenu et fermé par un mur, allusion à lhortus conclusus marial, symbole de pureté virginale et dun monde préservé du péché. Mais la perfection de lendroit semble contredite par les réactions soudaines et impétueuses des personnages, en incluant le détail extraordinaire que constitue le chat qui prend la fuite, apeuré, le dos bombé. La Vierge, presque effrayée par la mission qui lattend et qui montre malgré tout quelle laccepte dans un geste des mains en prière dhumble servante, est prise par surprise par le soudain « atterrissage » de lange, tombé dans la pièce avec les cheveux encore ébouriffés, qui montre Dieu le Père pris lui aussi dans un tourbillon. Le divin messager porte la tenue caractéristique des anges mais dun bleu intense et lumineux, signe de sa mission sacrée. La Madone, malgré des habits que liconographie traditionnelle a rendu canoniques, réle par son attitude et la typologie de ses vêtements, sa nature humaine, de femme du peuple surprise dans son quotidien.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna con il bambinoMadonna with Child

CimabueCimabue

Proveniente dalla collegiata dei Santi Lorenzo e Leonardo, la tavola rappresenta su fondo oro Maria, raffigurata nell'iconografia dell'Odigitria, cioè mentre indica il bambino che tiene in mano una pergamena arrotolata. La Vergine è racchiusa nel manto scurissimo che le avvolge anche la testa, illuminato dalle striature dorate da cui appena si coglie il rosato della tunica dallo scollo bordato da un raffinato gallone. La postura, il panneggio rigido e schematico, le grandi mani evidenti riportano alla tradizione bizantina, come la rigidezza del volto per quanto più dolce e delicato rispetto a opere precedenti. Tra la fine del Duecento e l’inizio del secolo successivo si abbandonano le formule più rigide di ascendenza bizantina a favore di una resa più realistica e umanizzata delle figure sacre. La tavola si inserisce in quel momento di passaggio verso la maniera nuova che Giotto porterà a vette altissime. Se l'autografia di Cimabue trova concorde gran parte della critica, non si può dimenticare la somiglianza iconografica con la Madonna di Crevole di Duccio di Buoninsegna per la malinconica espressione del volto, la raffinatezza cromatica e linearistica, l'accenno ad un moto di umanizzazione del sacro. Si tratti di un diretto intervento o di un dialogo a distanza ravvicinata, la comunanza tra i due artisti è evidente.

Testo di Giovanna Lazzi 

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Deriving from the College of Saints Lorenzo and Leonardo, the panel depicts Mary against a gold background, portrayed in the iconography of Odigitria, that is, while showing the Child, who holds a rolled-up parchment in His hand. The Virgin is wrapped in the dark cloak that also covers her head, illuminated by golden streaks that just reveal the pink of the tunic with its fringed neckline and refined chevron. The posture, the rigid and schematic drapery, the evident large hands hark back to the Byzantine tradition, as does the rigidity of the face, although it is sweeter and more delicate than in previous works. Between the end of the thirteenth century and the start of the following one, the more rigid forms of Byzantine ascendance were abandoned in favour of a more realistic, humanised rendering of sacred figures. The panel lies in that moment of transition towards the new manner, which Giotto would take to its highest level. Even if critics largely agree that this is Cimabue’s work, we may not overlook its iconographic similarities to Duccio di Buoninsegna’s Crevole Madonna concerning the melancholic facial expression, the chromatic and linearistic refinement, the hint of a move towards humanising the sacred. Whether there was direct intervention or close-range dialogue, the commonality between the two artists is undeniable. 

Text by Giovanna Lazzi 

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Madonna TempiTempi MadonnaLa Vierge Tempi

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

Appartenuto alla famiglia Tempi di Firenze, dove è eseguito intorno 1508, il dipinto rappresenta un raffinato esercizio di Raffaello su un tema congeniale al suo temperamento artistico. La composizione, armoniosamente efficace, è condensata intorno all’abbraccio della Vergine con il Cristo fanciullo. Il paesaggio è ridotto a circoscritti e sereni frammenti naturalistici. Raffaello svolge un’umana e intima versione del soggetto religioso, esaltata da una smagliante gamma cromatica. I colori sono inoltre stesi con virtuosa ricercatezza, come emerge apprezzando i sapienti tocchi di luce che impreziosiscono le trasparenze dell’impalpabile velo della Madonna.

Testo di Maria Teresa Tancredi 

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This painting belonged to the Tempi family from Florence, where it was executed around 1508, and shows Raphael refinedly working on a subject congenial to his artistic temperament. The harmoniously effective composition condenses around the embrace of the Virgin and the Christ Child. The landscape is reduced to luminous fragments. Raphael creates a human, intimate version of the devotional subject, enhanced by dazzling colour and plotted in virtuous detail: consider the wise touches of light, embellishing the Madonna’s impalpable silk veil. 

Text by Maria Teresa Tancredi

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Ce tableau, qui appartint à la famille Tempi de Florence, où il fut peint vers 1508, représente un exercice de Raphaël sur un thème cher à son tempérament artistique. La composition se condense autour de l’étreinte de la Vierge avec le Christ enfant. Le paysage est réduit à des fragments naturalistes. Raphaël donne une version humaine et intime du sujet religieux, exaltée par une gamme chromatique éblouissante. Les couleurs sont également appliquées avec raffinement, comme en témoigne l’habileté des touches de lumière qui embellissent les transparences du voile de la Vierge.

Texte de Maria Teresa Tancredi

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Madonna dell'UmiltàMadonna of Humility

Beato AngelicoBeato Angelico

Descritta da Giorgio Vasari nel 1568 nella casa della famiglia Gondi, a Firenze, dove faceva parte di un polittico, la delicata immagine interpreta in tono personale il tema molto noto della Madonna dell'Umiltà, dove la Vergine è presentata non tanto nella sua regalità sacrale assisa in trono quanto nell’accezione più umana e terrena, in atto di presentare il suo bambino o addirittura di adorarlo. L'Angelico non dimentica tuttavia l'alto ruolo di Maria e, se elimina il trono, la circonda però d'oro mediante la cortina che le fa da sfondo, quasi un baldacchino scenograficamente aperto da due angeli, e i ricchi galloni ricamati che illuminano il prezioso azzurro del manto. Dorati sono anche il cuscino e i gradini che la innalzano e la isolano. Molto più umano è il rapporto con il Bambino, in piedi, che le poggia dolcemente la guancia al volto, sorretto dalla mano garbata ma salda della madre. L'aureola crociata ricorda il destino del piccolo Gesù, ma non turba la serenità dell'intimo rapporto tra i due. Non manca una sottile rete di rimandi simbolici nella presenza delle rose e gigli, fiori mariani per eccellenza. Il colore tenero e sfumato ma sapientemente dosato, con quella raffinatezza smaltata che tradisce la consuetudine dell'artista con la miniatura.

Le eleganze della cultura "tardogotica" si fondono con la conoscenza della nuova temperie artistica fiorentina, dimostrando che la lezione di Masaccio era stata ben assorbita anche dal raffinato frate domenicano. Le figure sono infatti collocate in uno spazio reale e ben modulato dall'attenzione alle leggi prospettiche, creando scorci sapienti, come l'angelo al vertice o il tendaggio che determina la profondità. La scena emana una calma serena immersa in un'atmosfera celestiale per la presenza dei due angeli musicanti che suonano l'organo portativo e il liuto.

        

Described by Giorgio Vasari in 1568 in the house of the Gondi family, at Florence, where it was part of a polyptic, this delicate image personally interprets the well-known theme of the so-called Madonna of Humility, where the Virgin is presented not so much in her sacred regality, sitting on a throne, as in the more human, worldly sense, in the act of showing or even adoring her Child. Angelico does not however forget Mary’s other role and although he eliminates the throne, he surrounds her with gold through the curtain that acts as her background, almost a canopy scenographically opened by two angels, and the rich embroidered chevrons that illuminate the precious blue of the cloak. The cushion and the steps that enhance and isolate her are also golden. Far more human is the relationship with the standing Child, who sweetly places His hand on her cheek, supported by His mother’s graceful yet firm hand. The crossed halo recalls the destiny of the small Jesus, without disturbing the serenity of the intimate bond between the two. There is also a subtle network of symbolic references in the presence of roses and lilies, Mary’s flowers par excellence. With that refined polish that gives away the artist’s acquaintance with illuminated manuscript. The soft, sfumato, but wisely measured colour does not contradict but actually emphasises the volumetric firmness of the bodies and the convinced placement of the figure of Mary in space.

The elegance of "late Gothic" culture fuses with awareness of the new artistic Florentine climate, demonstrating that the teaching of Masaccio had also been absorbed by the refined Dominican monk. The figures are placed in a real space, well modulated by attention to perspectival laws, creating wise foreshortening, as in the angel at the top of the drapes that determine the depth. The scene emanates serene calm, immersed in an atmosphere made celestial by the presence of two angel musicians playing a hand-held organ and a lute.

Text by Giovanna Lazzi

Madonna dell'UmiltàMadonna of HumilityMadone de l'Humilité

Gentile da FabrianoGentile da FabrianoGentile da Fabriano

La raffinatissima tavoletta, commissionata forse da Alemanno Adimari, cardinale di origine fiorentina e arcivescovo di Pisa, che si fece decorare il sepolcro nella chiesa romana di Santa Maria Nova proprio da Gentile con affreschi perduti ma citati da Vasari, proviene dalla Pia Casa della Misericordia di Pisa, ricca e nota istituzione sorta nell'XI secolo, e nel 1949 pervenne al museo di san Matteo. La Madonna dell'Umiltà è tema iconografico molto amato dove Maria è raffigurata in adorazione del figlio spesso poggiato a terra su un prato fiorito. Nell' interpretazione di Gentile la Madonna é seduta su un cuscino decorato con incisioni realizzate direttamente sulla foglia d'oro contro un drappo sontuoso realizzato con lacca rossa su foglia d'oro con decorazione a graffito. Il bambino è disteso sulle sue ginocchia in una posa che adombra quasi il tema del compianto a cui rimanda il tappetino su cui poggia come nel sudario e anche il velo liturgico di tradizione bizantina. Gesù, tuttavia, afferra il manto della madre con il gesto dell'iconografia della madonna del latte mentre Maria tiene le braccia incrociate sul petto nel segno di accettazione dell'annunciazione ma anche dell'incoronazione per coniugare umiltà e regalità. Tutte le connotazioni iconografiche del culto mariano si riassumono dunque in questa luminosa immagine, destinata alla devozione domestica, come dimostrano anche le ridotte dimensioni, in un contrasto originale tra soggetto e resa estetica, laddove la ricchezza materica contraddice lo spirito dell'umiltà ma allude alla regalità. Lungo il bordo del manto della Vergine corre l'iscrizione "AVE M[A]T[ER] DIEGNA [D]EI" che cita il saluto dell'angelo annunciante mentre sull'orlo del drappo dov'è disteso Gesù compare una scritta in arabo, letta come il versetto del Corano "Non c'è altro Dio al di fuori di Allah".

La presenza dei così detti caratteri cufici in stile calligrafico iracheno sono stati oggetto di varie proposte interpretative; si tratta di una copia da un testo forse per un tocco di esotismo all'epoca molto gradito, frutto di suggestioni da oggetti orientali, come stoffe e suppellettili, assai ricercati e utilizzati non tanto per il loro significato quanto per la preziosità decorativa e anche talvolta per  il valore sacrale legato alle reliquie. Corrispondenze stilistiche e tecniche, come la raffinata lavorazione dell'oro nello sfondo e nei tessuti, rimandano al periodo fiorentino dell'artista, culminante nella Pala Strozzi (1423), mentre la posa del Bambino richiama la tavola oggi al Getty Museum di Los Angeles databile al 1420-1421 circa. 

Testo di Giovanna Lazzi 

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This refined panel, maybe commissioned by Alemanno Adimari, a cardinal of Florentine origin and Archbishop of Pisa, who had Gentile himself decorate the sepulchre in the Roman Church of Santa Maria Nova with frescos now lost but cited by Vasari, comes from Pia Casa della Misericordia in Pisa, a rich, noted institution that emerged in the XI century, and reached Museo di san Matteo in 1949. The Madonna of Humility is a beloved iconographic theme, in which Mary is portrayed adoring her Son, who is often placed on the ground in a meadow. In Gentile’s interpretation, the Madonna sits on a cushion decorated with engravings made directly on the gold sheet against a sumptuous drape made with red lacquer on the gold sheet with an inscribed decoration. The child stretches on His knees in a pose that almost adumbrates the theme of grief, referred to by the shroud-like rug He lies on and the liturgical veil of the Byzantine tradition. Yet Jesus grasps His mother’s cloak with the gesture from Nursing Madonna iconography, while Mary keeps her arms crossed on her breast in a sign of accepting the Annunciation, but also of crowning, to join humility and royalty. All the iconographical connotations of Mary worship, then, meet in this bright image, designed for domestic devotion, as indicated too by its small size, in an original contrast of subject with aesthetic rendering, where material wealth contradicts the spirit of humility but also alludes to royalty. Around the edge of the Virgin’s cloak reads the inscription "AVE M[A]T[ER] DIEGNA [D]EI", citing the greeting of the Annunciation angel, while the hem of the drape on which Jesus lies displays an Arabian text, read as the Koran verse, "There is no God but Allah".

The so-called Kufic characters in the Iraqi writing style have been the object of various suggested interpretations: this copy of a text may be due to a touch of exoticism, very welcome at that time, fruit of suggestions from Eastern objects, such as textiles and furnishings, highly elegant and used not so much for their meaning as for their decorative preciousness and sometimes the sacral value linked to relics too. Stylistic, technical correspondences, like the refined gold working in the background and materials, point to the artist’s Florentine period, culminating in the Strozzi Altarpiece (1423), while the Child’s pose recalls the panel dated to around 1420 – 1421 and now at the Getty Museum in Los Angeles. 

Text by Giovanna Lazzi

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La Madone de lHumilité est un thème iconographique très aimé selon lequel Marie est représentée en adoration de son enfant, souvent posé à terre sur un pré fleuri. Dans linterprétation de Gentile, la Madone est assise sur un coussin décoré dincisions réalisées directement sur feuille dor contre un drap somptueux obtenu par laque rouge sur feuille dor avec décoration en graffiti. Lenfant est allongé sur ses genoux dans une pose qui dissimule presque le thème de la lamentation auquel renvoie le petit tapis sur lequel il repose comme dans le suaire, ainsi que le voile liturgique de tradition byzantine. Jésus, toutefois, saisit le manteau de sa mère avec le geste de liconographie de la Vierge allaitante tandis que Marie a les bras croisés sur sa poitrine en signe dacceptation de lannonciation mais aussi du couronnement pour conjuguer humilité et royauté. Toutes les connotations iconographiques du culte marial se résument donc dans cette lumineuse image, destiné à la dévotion domestique, comme le démontrent également les dimensions réduites, dans un contraste original entre sujet et rendu esthétique, là où la richesse matérielle contredit lesprit de lhumilité mais fait allusion à la royauté.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Adorazione dei MagiAdoration of the Magi

Sandro BotticelliSandro BotticelliSandro Botticelli

Il dipinto fu commissionato dal banchiere Gaspare di Zanobi del Lama, in omaggio ad uno dei Magi di cui portava il nome, per decorare la propria cappella nella chiesa di Santa Maria Novella, secondo l'uso di devolvere una parte dei guadagni in opere d'arte dedicate ai santi protettori per redimersi dal peccato di usura legato alla professione. Dopo varie vicende la pala passò a Flavio Mondragone, istruttore di Francesco I de' Medici, e dopo la confisca dei suoi beni per tradimento, finì nelle raccolte granducali. Botticelli introdusse una grande novità nella notissima iconografia ponendo la Sacra Famiglia al centro e non ad una estremità e i Magi quasi in forma di corteo, memore della cavalcata che si teneva per le strade di Firenze nel giorno dell'Epifania, organizzata dalla Compagnia dei Magi, patrocinata dai Medici. La Vergine col Bambino, vegliata da dietro da san Giuseppe, si trova al vertice di un triangolo a cui mirano le linee prospettiche delle quinte laterali e lo scalare dei personaggi. Nei Magi, che rappresentano le tre età dell'uomo (gioventù, maturità e anzianità) si riconoscono Cosimo il Vecchio come Melchiorre a cui, come capo della casata, spetta l'onore di portare per primo omaggio a Gesù, e i suoi figli Piero il Gottoso e Giovanni come Gaspare e Baldassarre. Scendendo rigorosamente la linea dinastica ecco Lorenzo e all'estrema sinistra il fratello Giuliano, a cui si appoggia Angelo Poliziano, sotto lo sguardo di Pico della Mirandola. Il committente si trova in posizione defilata nel gruppo di destra, vestito di azzurro. Nel giovane in primo piano che guarda verso lo spettatore, è stato individuato l'autoritratto dell'artista. Il pavone simbolo di immortalità, poiché le sue carni erano ritenute incorruttibili, sigilla le allusioni dello sfondo ove il tempio che crolla rappresenta il mondo antico e la fine del paganesimo e la Natività l'avvento della nuova religione, il futuro dell'umanità, in ricordo anche della Legenda Aurea, secondo cui la Sibilla predisse a Augusto l'arrivo di un nuovo re. Nel 1473 Botticelli entrò al servizio dei Medici e divenne un eccezionale interprete della loro propaganda politica. Se quindi l'iconografia obbedisce a intenti celebrativi con la galleria dei ritratti dei signori che, rendendo omaggio alla divinità, vengono legittimati del loro potere, il nuovo schema conosce un immediato successo e viene ripreso abbastanza fedelmente da Filippino Lippi (Uffizi) e da Leonardo, che nella tavola per il monastero di San Donato a Scopeto (Uffizi), ripetendo lo schema botticelliano, si fermò a cogliere le reazioni degli astanti, stupiti dal prodigio del Bambino benedicente. E proprio a lui guarda in seguito Sandro nell'ultima delle diverse prove su un tema a lui carissimo (Uffizi), riprendendo il turbinoso movimento della folla, le emozioni dei volti e dei gesti, gli accenni a conflitti tra cavalieri e perfino tra i loro cavalli e chiudendo così un lungo dialogo tra artisti formati nella medesima bottega eppure tanto diversi.

Testo di Giovanna Lazzi

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The painting was commissioned by the banker Gaspare di Zanobi del Lama, in homage to one of the Magi whose name he bore, to decorate his chapel in Santa Maria Novella Church, in accordance with the tradition of devolving part of the earnings into works of art dedicated to patron saints to be redeemed from the sin of usury linked to their profession. After various vicissitudes, the panel passed to Flavio Mondragone, Francesco I de' Medici’s instructor, and following the confiscation of his possessions for betrayal, it reached the Grand Duke collections. Botticelli made a great innovation into famed iconography by placing the Holy Family in the centre rather than at an edge, and the Magi in quasi-cortège form, in memory of the horse ride held through the streets of Venice on the day of the Epiphany, organised by the Company of the Magi, patronised by the Medici. The Virgin with child, watched by Saint Joseph from behind, lies at the top of a triangle, pointed to by the prospective lines of the side wings or the rising characters. In the Magi, representing the three ages of man (youth, maturity and old age) we recognise Cosimo the Elder as Melchior, who, as head of the house, has the honour of being the first to bring homage to Jesus, and his sons Piero the Gouty and Giovanni as Gaspar and Balthasar. Rigorously following the dynastic line, there is Lorenzo and at the far left his brother Giuliano, with Angelo Poliziano leaning on him under the gaze of Pico della Mirandola. The commissioner stands in a secluded position in the group on the right, dressed in blue. A self-portrait of the artist has been found in the youth looking to the viewer from the foreground. The peacock, which symbolises immortality, as its flesh was considered incorruptible, seals the allusions in the background, where the collapsing temple represents the ancient world and the end of paganism, the Nativity the advent of the new religion, the future of humanity, also in memory of the Golden Legend, according to which the Sibyl predicted to Augustus the arrival of a new king. In 1473 Botticelli entered the Medici’s service and became an exceptional interpreter of their political propaganda. If, then, the iconography obeys the celebratory intent with the gallery of portraits of gentlemen who pay homage to the divinity to make their power legitimate, the new scheme enjoyed immediate success and was quite faithfully taken up by Filippino Lippi (Uffizi) and Leonardo, who repeated Botticelli’s scheme in the panel for monastery of San Donato at Scopeto (Uffizi), stopping to grasp the reactions of those present, stunned by the prodigy of the blessing Child. And it is to him that Sandro later looks in the various experiments on a theme very dear to him (Uffizi), taking up the whirl of the crowd, the emotions of the faces and gestures, the hints of conflict among the knights and even their horses, this closing a long dialogue among artists trained in the same workshop yet so varied.

Text by Giovanna Lazzi

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Adorazione dei MagiAdoration of the Magi

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Nel 1481 i monaci di San Donato a Scopeto commissionarono a Leonardo un'Adorazione dei Magi da completare nel giro di due anni. L'artista studiò la composizione approntando vari disegni preparatori: uno generale, dove compare anche la capanna ora a Parigi; uno dello sfondo conservato a Firenze, e vari studi riconducibili alla zuffa di cavalli o alla posizione della Madonna e del Bambino. Nell'estate del 1482, però, partì per Milano, lasciando l'opera incompiuta. La tavola di Leonardo era rimasta allo stato di abbozzo in casa di Amerigo de' Benci, dove la vide Vasari. Nel 1601 si trovava nelle raccolte di don Antonio de' Medici e, dopo la morte di suo figlio Giulio, nel 1670, approdò alle Gallerie fiorentine.

E’ stata restaurata tra il 2011 e la fine di marzo 2017. 

APPROFONDIMENTO:

La forma pressoché quadrata permise all'artista di organizzare la composizione lungo le direttrici diagonali, con il centro nel punto di incontro dove si trova la testa della Vergine, che, collocata in posizione leggermente arretrata, accenna un movimento rotatorio, diffuso in cerchi concentrici, come effetto del propagarsi della rivelazione divina.  Le figure sacre sono al centro e i Magi alla base di un'ideale piramide che ha come vertice la figura di Maria, come nell'Adorazione dei Magi di Sandro Botticelli del 1475.

Il corteo si dispone teatralmente a semicerchio dietro la Madonna, bellissima e dolcemente assorta, avvolta nel viluppo dei panneggi e velata dal benduccio delle donne maritate. Ella è perno di tutta l'azione che si sviluppa concitata e dinamica nelle figure studiate nelle loro manifestazioni fisiche e psicologiche, un'umanità variegata dove talvolta i volti scheletrici sembrano frutto di studi anatomici.

Lo sfondo è diviso in due parti da due alberi: la palma, segno della passione di Cristo, e l'alloro simbolo di resurrezione, che alcuni hanno inteso come un carrubo, tradizionalmente associato al Battista identificabile nel personaggio, confuso nella agitata massa anonima degli astanti, con il dito levato nel “gesto di Giovanni”. 

Le architetture in rovina sullo sfondo rimandano al Tempio di Gerusalemme, segno del declino dell'Ebraismo e del Paganesimo, alluso anche dalla lotta dei cavalli. Nell'edificio con le scale è stata riconosciuta la citazione del presbiterio della chiesa di San Miniato al Monte o della Villa medicea di Poggio a Caiano allora in costruzione; le piante nate in disordine suggeriscono l'abbandono di edifici invasi dalla vegetazione per l'incuria e la devastazione. 

Gli armati in lotta cieca sui cavalli che s'impennano vanno letti come simbolo della follia degli uomini che non hanno ancora ricevuto il messaggio cristiano. Il giovane a destra che guarda verso l'esterno, forse un autoritratto, è stato messo in relazione con il personaggio meditabondo sul lato opposto, come invito a riflettere sul mistero dell'Incarnazione.

Leonardo riuscì a interpretare in modo particolare il tema dell'Adorazione dei Magi. Tema molto frequente nell'arte fiorentina del XV secolo non solo perché permetteva di inserire episodi e personaggi atti a celebrare la ricchezza e il potere dei committenti, ma anche perché ogni anno, per l'Epifania, si svolgeva “la Cavalcata” nelle strade cittadine che coinvolgeva le famiglie più in vista. 

Innanzitutto l'artista decise di raffigurare l'epifania, la "manifestazione" di Gesù, che, con il gesto di benedizione, rivela la sua natura divina agli astanti. La folla sconvolta si abbandona a manifestazioni di sorpresa e turbamento, ben lontane dalla usuale compostezza del corteo, pretesto di sfoggio di eleganza e agiatezza. La tavola rivela una globale assimilazione della pittura fiorentina contemporanea e della scultura classica nell’articolazione compositiva dello spazio, unificato dalla potenza del disegno e dalla luce avvolgente. L'opera si presenta oggi come un grandioso abbozzo, che permette di conoscere approfonditamente la tecnica usata da Leonardo che stendeva una base scura, dove necessario, a base di terre e verderame, di tinta marrone rossastra e di nero, lasciando invece visibile la preparazione chiara di fondo sui soggetti più illuminati.  

L'accurato restauro ha evidenziato le stesure non originali di vernice, colla, patinature sul supporto, costituito da dieci assi di pioppo che si è aperto provocando rotture sulla superficie. Soprattutto nella parte alta è emerso un accenno luminoso del colore del cielo rendendo percepibili a occhio nudo anziché solo in infrarosso le figure dei lavoratori intenti alla ricostruzione del Tempio, elemento iconologico di grande importanza, così come la zuffa di cavalli e figure umane sulla destra e lo sfondo che si apre su una visione prospettica ed atmosferica, sinora addirittura mascherata da una vera e propria patinatura che voleva conferire all’insieme l’aspetto di un monocromo. Inoltre, in modo inconsueto per il suo tempo e unico persino nella sua produzione artistica, Leonardo ha elaborato il disegno direttamente sulla tavola anziché su carta, come è evidente dai numerosissimi cambiamenti in corso d’opera oggi di nuovo visibili.

Testo di Giovanna Lazzi

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In 1481 the monks of San Donato a Scopeto commissioned an Adoration of the Magi of Leonardo, to be completed within two years. The artist studied the composition, producing several preparatory drawings: a general one, in which even the hut appears (Paris, Louvre, Cabinet des Dessins); one of the background (Florence, GDSU); and various studies that can lead back to the horses’ fight or the position of the Madonna and Child. But in the Summer of 1482, he departed for Milan, leaving the work incomplete. Leonardo’s panel remained, no more than a sketch, at the home Amerigo de' Benci, where it was seen by Vasari. In 1601 it was in the collections of don Antonio de' Medici, and, after the death of his son Giulio, in 1670, it reached the Florentine Galleries. In 1681, the sixteenth-century guild frame went missing, probably on the occasion of the painting’s transfer to Villa di Castello. Since 1794 it has been at the Museum definitively; it was restored between 2011 and late March 2017.

FIND OUT MORE:

The almost square form allowed the artist to organise the composition along diagonal vectors, its centre the meeting point with the head of the Virgin, which is placed slightly behind and hints at a rotating movement, spread into concentric circles, as a result of the propagation of the divine revelation. The sacred figures are at the centre and the Magi at the base of a pyramidal ideal whose vertex is the figure of Mary, as in Sandro Botticelli’s Adoration of the dei Magi (Florence, Uffizi, circa 1475).

The procession is played out in a semi-circle behind the Madonna, who is beautiful and sweetly engrossed, wrapped in the winding drapes and veiled by the sash of married women, the pivot of all the excited, dynamic action of the figures, studied in their physical and psychological physiognomy, a varied humanity where the skeletal faces sometimes appear as the fruit of anatomical study.

The background is divided into two parts by two trees: the palm, sign of the Passion of Christ, and the laurel, symbol of Resurrection, interpreted by some as a carob tree, traditionally associated with the Baptist that may be identified in the character, confused in the agitated anonymous mass, raising his finger in the “sign of Saint John”. The background architecture in ruins recall the Temple of Jerusalem, indicating the decline of Hebraism and Paganism, also alluded to by the fighting horses. The building with steps has been recognised as a reference to the presbitry of San Miniato al Monte Church, or the Medici Villa di Poggio at Caiano, then under construction; the disordered plants suggest the abandonment of buildings invaded by vegetation due to neglect and devastation.

The armed men combatting blindly on the rearing horses are read as a symbol of the folly of men who have not yet received the Christian message. The youth at the right, looking outwards, may be a self-portrait and has been related to the meditative character on the opposite side, as an invitation to reflect on the mystery of the Incarnation.

Leonardo gave a special interpretation to the theme of the Adoration of the Magi, so frequent in XV-century Florentine art, not only because it allowed artists to insert episodes and characters that would celebrate the richness and power of their commissioners, but also because every year the Epiphany saw the Horse Ride in the city streets, involving the most prominent families.

Most of all, the painter decided to depict the epiphany, the "manifestation" of Jesus, who reveals his divine nature to those present with his gesture of blessing. The bewildered crowd gives in to displays of surprise and perturbation, a far cry from the usual composure at court, a pretext to show off elegance and prosperity. The panel reveals global assimilation of contemporaneous Florentine painting and classical sculpture in the compositional articulation of space, unified by the power of the drawing and the gripping light.

Today, the work appears as a grandiose sketch, letting us know in depth the technique used by Leonardo as he set out a dark base of earth and verdigris, reddish brown and black tint, where necessary, but left the clear background preparation visible on the more illuminated subjects. Accurate restoration highlighted the unoriginal varnish, glue and gloss layouts on the support, made up of the ten poplar axes that opened up so as to cause surface breakage. In particular, the upper part revealed a bright hint of sky colour so that the naked eye – not only infrared rays – could perceive the figures of the workers intent on reconstructing the Temple, a highly important iconographic element, just like the horses’ fight and human figures on the right and the background opening up a prospective, atmospheric vision, thus far masked by out and out gloss that aimed to make the whole painting look monochrome.Further, in a manner unusual for the time and unique in even his artistic path, Leonardo worked the drawing out directly onto the panel rather than paper, as the numerous changes over the course of the work that we can now see make clear.

Text by Giovanna Lazzi

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Vergine delle rocce Virgin of the RocksLa Vierge aux rochers

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Inscenata nella cavità di un tenebroso antro roccioso, scandito da scisti e stalagmiti, l’opera si collega alla richiesta del 25 aprile 1483 di un polittico che Leonardo è chiamato a realizzare, entro il successivo 8 dicembre, per la confraternita della Concezione, istituita in San Francesco Grande a Milano dal 1477. Cronologia e vicessitudini della commissione risultano confusi. Merita però circoscrive l’attenzione al dito indice dell’angelo puntato sul san Giovanni, gesto forse che allude, «in un dipinto destinato ad una cappella dedicata all’lmmacolata, ...[allo] speciale privilegio del Battista, [privo del peccato originale], che lo accomunava alla Madonna», secondo quanto sostenuto dal beato Amadeo Menéndez de Sylva (Apocalypsis Nova). Di qui forse l’immediato interesse per il dipinto mostrato dal re di Francia Luigi XII, convinto amadeita (M. Calì). 

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

APPROFONDIMENTO:

Il celeberrimo dipinto eseguito da Leonardo a Milano si connette aduna complicata vicenda, quando Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione, stipula un contratto per un’ancona. Si tratta di una pala da collocare sull'altare della cappella della Confraternita nella chiesa di San Francesco Grande (oggi distrutta). Il contratto sottoscritto dall’artista specifica forma le dimensioni del dipinto: nella pala centrale la Madonna con un ricco abito di "broccato d'oro azurlo tramarino" e "con lo suo fiollo", Dio Padre in alto, anche lui con la "vesta de sopra brocato doro", un gruppo di angeli alla "fogia grecha" e due profeti; nelle due parti laterali quattro angeli in gloria, affidati ai De Predis (Londra, National Gallery).

Ma il risultato finale disattente le indicazioni contemplate nel contratto, a tal punto distante da innescare una causa giudiziaria protrattasi per oltre vent’anni. Nonostante le molte ricerche condotte ancora sfuggono le motivazioni che spingono Leonardo a cambiare il soggetto dell’opera, optando per la messa in scena dell’incontro tra il bambino e Giovanni Battista, al quale assistono la Vergine e un angelo.  Le figure si stagliano contro un antro roccioso di sorprendente fattura. Il tema iconografico deriva per tanto dai vangeli apocrifi, nei quali si narra che durante la fuga in Egitto, attraversando il deserto, la sacra famiglia trova riparo in una grotta, dove s’imbatte nella presenza del Battista e dell’Arcangelo Uriel.

Il quadro appartiene al Museo del Louvre, ma le circostanze del trasferimento in Francia sono discusse. Una delle ipotesi vuole che l’opera, venduta a Ludovico il Moro, sia caduta nelle mani dei francesi assieme a tutte le sue proprietà durante l’occupazione di Milano del 1499. Sappiamo che nel 1625 Cassiano dal Pozzo ammira l’opera a Fontainebleau. 

Testo di Giovanna Lazzi

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The Louvre Virgin of the Rocks is set in the cavity of a dark rocky cavern, scanned by schists and stalagmites. The work was part of a polyptych requested of Leonardo on 25 April 1483, to be completed by 8 December, for the co-fraternity of the Conception, in San Francesco Grande at Milan since 1477. The commission’s chronology and vicissitudes seem confused, but it is worth focussing on the angel’s index finger, which points to Saint John in a gesture that may allude, «in a painting destined to a chapel dedicated to the Immaculate, ...[to the] special privilege of the Baptist, [without original sin], which associated him with the Madonna», according to beatified Amadeo Menéndez de Sylva in Apocalypsis Nova. This may explain the interest in the altarpiece from the King of France Louis XII, a convinced Amadeit (M. Calì). 

Text by Maria Teresa Tancredi 

 

FIND OUT MORE:

The celebrated painting Leonardo made at Milan is part of a complicated history, when Bartolomeo Scorione, Prior of the Milanese Confraternity of the Immaculate Conception, stipulated a contract for an ancona. This panel was to be placed on the Confraternity Chapel altar in San Francesco Grande Church (now destroyed). The contract signed by the artist specifies the size and form of the work: in the central panel, the Madonna with a rich dress of "gold brocade and ultramarine blue", with God the Father above, He too with a "gown of gold brocade", and a group of angels in the "Greek style" and two prophets; in the two side parts, four angels in glory, entrusted to De Predis (London, National Gallery). 

But the final result was so inattentive to the indications in the contract as to trigger a court case that would go on for over 20 years. Even extensive research has not revealed the reasons driving Leonardo to change the subject of the piece and opt to stage the meeting between the Child and John the Baptist, attended by the Virgin and an angel. The figures stand out against a strikingly formed rocky cave. The iconographic theme thus derives from the apocryphal Gospels, narrating that, during the flight to Egypt, the Holy Family crossed the desert and found shelter in a grotto, where they encountered the Baptist and the Archangel Uriel. 

The painting belongs to the Louvre, but the circumstances of its transferral to France remain controversial. According to one hypothesis, the work, sold to Ludovico Sforza, fell into French hands along with the rest of his property during the occupation of Milan in 1499. We know that in 1625 Cassiano dal Pozzo admired the work at Fontainebleau. 

Text by Giovanna Lazzi

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Dans le retable du Louvre, le premier plan est occupé entièrement par le quatuor disposé de manière symétrique pour former une pyramide dont la base est très élargie, avec au sommet la tête de Marie, qui regarde en direction de Giovannino, en position de prière et lui entoure les épaules de son bras droit, levant la main gauche sur la tête de lenfant Jésus, adressant un signe de bénédiction. Le schéma géométrique est animé par larticulation des membres, développant le modèle de composition et le mouvement rotatoire déjà expérimentés dans lAdoration des mages (Florence, Galerie des Offices). Les quatre personnages sont liés par un savant dialogue essentiellement formé de regards et de gestes des mains qui créent un mouvement circulaire de renvois. Lange dirige le regard vers le spectateur, désignant de lindex de sa main droite saint Jean Baptiste. Presque blotti dans la pose sculpturale dune statue de bronze, dune beauté sublime comme une harpie troublante, il frappe immédiatement limagination du spectateur, du fait également de la couleur rouge du manteau qui lenveloppe, des amples drapés qui contrastent avec le voile léger de la manche et également avec lhabillement traditionnel de la Vierge, où brille la broche qui retient le manteau et que lon retrouve dans toutes les Madones de Léonard de Vinci. Les traits des deux Enfants sont identiques et la critique a de ce fait proposé, de temps à autre, des identifications inversées avec de gros désaccords dans linterprétation. De nombreux éléments inquiétants ont été relevés dans le retable : lange, à la physionomie ambiguë, se tourne directement vers le spectateur avec un léger sourire, montre lEnfant à côté de Marie mais regarde du côté opposé.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna del PratoMadonna del PratoMadonna del Prato

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

Nella piena maturità del Raffaello fiorentino, quest’opera, del 1506, malgrado gli infondati dubbi sull’attribuzione, va ritenuta centrale e culminante della ricerca formalmente suprema dell’urbinate. L’organizzazione compositiva della stupenda figura di Madonna, con i bambini che giocano in primo piano, e la parte superiore, con quel rosso tinto qualificato profondamente che svetta sul grande paesaggio, evocano davvero l’erezione di un monumento. Con ogni evidenza siamo di fronte ad una vera e propria opera architettonica: l’articolazione delle forme, l’intonazione cromatica e la limpidezza atmosferica danno vita ad un altissimo raggiungimento.

Commento di Ferdinando Bologna

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This work was made in 1506, at Raphael's full Florentine maturity, and marks the culmination of his search for formal supremity, despite unfounded doubts over attribution. The painting evokes the erection of a monument through its compositional organisation, the stupendous Madonna and playing children in the foreground, and qualified red soaring over the great landscape above. We are in the presence of a truly architectural work: articulation of forms, chromatic intonation and atmospheric clarity enliven a mighty achievement.

A comment by Ferdinando Bologna 

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Cette œuvre de 1506, qui a finalement été attribuée à Raphaël, date de la pleine maturité atteinte par Raphaël lors de son séjour florentin : elle doit être considérée comme centrale dans la recherche formelle du maître dUrbino. L'organisation de la composition de la splendide figure de la Vierge, avec les enfants jouant au premier plan, et la partie supérieure, et ce rouge qui se détache sur le paysage étendu, évoquent vraiment l’édification d'un monument. De toute évidence nous sommes confrontés à un véritable travail architectural : l'articulation des formes, la tonalité chromatique et l’ambiance lumineuse donnent vie à une très grande réalisation.

Commentaire de Ferdinando Bologna 

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Madonna della seggiolaMadonna della SeggiolaLa Vierge à la chaise

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

Quando si dice Raffaello, si dice Madonna della seggiola, un'invenzione straordinariamente armoniosa e perfetta, attestante la capacità di articolare una composizione complessissima, intimamente condizionata dagli studi sull’arte di Michelangelo, dentro un clipeo che ha la limpidezza, e non soltanto la sonorità, della forma antica. Il tutto è organizzato in una magistrale dinamica dei volumi contenuti ed esemplarmente compressi.

Commento di Ferdinando Bologna

 

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Raphael's name is synonymous with the Madonna della seggiola, this extraordinarily harmonious, perfect invention, attesting his skill in creating a complex composition: heavily influenced by studies of Michelangelo's art, she stands behind a clypeus that has both the sonority and the clarity of antique form. The whole is organised into a majestic dynamic of contained, exemplarily compressed volumes. 

A comment by Ferdinando Bologna

 

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Quand on dit Raphaël, on dit La Vierge à la chaise, une invention harmonieuse, qui témoigne de sa capacité à articuler une composition très complexe, liée à son étude de l’art de Michel-Ange, dans un tondo qui a l’apparence de la forme ancienne. Tout l’ensemble est organisé dans le dynamique bien maîtrisée des volumes contenus et comprimés de façon exemplaire.

Commentaire de Ferdinando Bologna

 

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Tondo DoniDoni TondoLa Sainte Famille à la tribune

Michelangelo BuonarrotiMichelangelo BuonarrotiMichel-Ange

È l’unica opera su supporto mobile che si possa assegnare con certezza a Michelangelo, segnalata in casa di Agnolo Doni sia dall'Anonimo Magliabechiano (1540) che da Anton Francesco Doni. La vicenda della commissione è narrata da Vasari come una storia curiosa. Appena pronto "un tondo di pittura ch’è dentrovi una Nostra Donna, la quale, inginocchiata con amendua le gambe, alza in su le braccia un putto e porgelo a Giuseppo che lo riceve", l'artista inviò un garzone con l'opera, ma alla richiesta del pagamento di settanta ducati il Doni ne offrì solo quaranta. Michelangelo fece riportare indietro il dipinto e pretese centoquaranta ducati, dimostrando la consapevolezza del valore dell'arte. Il 3 giugno del 1595 i Doni, impoveriti, cedettero il tondo al granduca Ferdinando I che lo tenne nella camera da letto in Palazzo Pitti. Solo nel 1902 fu riunito alla cornice originaria, intagliata da Marco e Francesco del Tasso, probabilmente su disegno di Michelangelo, con le teste di Cristo e di quattro profeti, derivate da rilievi su sarcofagi antichi come già aveva sperimentato Ghiberti, nella cornice della porta Nord del Battistero e poi in quella del Paradiso.Occasione della commissione erano state le nozze di Agnolo con Maddalena Strozzi (1504), al cui stemma familiare alluderebbero le mezze lune nella cornice, o il battesimo della primogenita Maria (1507).

Michelangelo aveva sperimentato le potenzialità del formato circolare, molto apprezzato nel '400 per gli arredi devozionali domestici, nei marmi del “Tondo Pitti” (Firenze, Bargello) e del “Tondo Taddei” (Londra, Royal Academy), meditando sulle soluzioni di Leonardo per il problema dell’inserimento delle figure nello spazio, in quanto più lontane devono essere “solamente accennate e non finite" (Trattato della pittura, parte III). L'artista, tuttavia, riteneva che la migliore pittura fosse quella che possedeva il più elevato grado di plasticità, come osserva nella lettera del 1550 a Benedetto Varchi: "Io dico che la pittura mi pare più tenuta buona quanto più va verso il rilievo et il rilievo più tenuto cattivo quanto più va verso la pittura". La struttura, che traduce il principio di Michelangelo che "la figura sia piramidale, serpentinata, moltiplicata per uno, per due, per tre", risulta così audacemente innovativa.

La Madonna, contrariamente all'iconografia più consueta, ruota verso Giuseppe, inginocchiato dietro, tra loro il piccolo Gesù gioca con i capelli della mamma. Originalissima la figura di Maria, senza velo, avvitata su sè stessa, con le braccia nude e muscolose di grande risalto plastico, inedite per una figura femminile. Il vigore fisico si identifica con la forza morale di un'umanità eroica che lotta anche nelle avversità, tutto si concentra sull'uomo che annulla anche il paesaggio sullo sfondo, dove, peraltro, è stato riconosciuto il profilo del santuario de La Verna, posto sotto la protezione dell'Arte della Lana a cui il Doni era iscritto. Questa composizione così articolata scaturisce dalle suggestioni dei marmi ellenistici, come l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte scavato nel gennaio 1506. Il primo dei nudi parrebbe ripreso dall’Apollo seduto (Firenze, Uffizi), marmo romano del I secolo d.C. replica di un originale ellenistico, l’ultimo sulla destra cita l'Amore con arco (Uffizi), la Madonna richiama l'Alessandro Magno morente. Secondo Vasari la generazione di Michelangelo potè “veder cavar fuora di terra certe anticaglie, citate da Plinio" origine della maniera “moderna”, nella quale si sarebbe raggiunto il massimo grado di imitazione della natura. I nudi "classici" rappresentano l’umanità pagana, separata mediante il muro del peccato originale dalla Sacra Famiglia, come nella Madonna di Luca Signorelli (Firenze, Uffizi), appartenuta a Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, con la Vergine e il Bambino in primo piano e quattro pastorelli ignudi. Analoga sarebbe la simbologia: i nudi l’umanità ante legem, prima che Dio dettasse a Mosè le tavole della Legge, Maria e Giuseppe l’umanità sub lege (dopo la Legge di Mosè), Gesù Bambino il mondo sub gratia, dopo la rivelazione, san Giovannino, riconoscibile dalla piccola croce che tiene sulla spalla, la connessione tra mondo pagano e cristiano. I giovani di Michelangelo però non sono pastori e sono completamente nudi, mentre san Giovannino diventa simbolo del battesimo, avvalorando l’ipotesi dell'occasione della nascita di Maria, dal momento che i Doni volevano fortemente un figlio, tanto che nel retro dei ritratti di Raffaello compaiono le raffigurazioni di due episodî del mito di Deucalione e Pirra, attribuiti al cosiddetto Maestro di Serumido. Si è pensato di interpretare i nudi anche come allusione ai bambini morti prima di essere battezzati, dato che bellezza e nudità sono collegate al tema della resurrezione, e, come dice San Paolo nella lettera agli Efesini, la nudità dei giovani rappresenta la liberazione dal peccato, e il muro cui s’appoggiano sarebbe simbolo di quel “tempio Santo” che ognuno di loro concorre a formare, quindi dal paganesimo si passa, attraverso il battesimo, alla salvezza della vita cristiana. I nudi animano plasticamente lo spazio concepito non come sfondo neutro ma come contrappunto, mentre la tavolozza luminosa e cangiante sottolinea la volumetria.

Il pavimento del primo piano più sollevato rispetto a quello di fondo implica l'uso di due costruzioni prospettiche diverse e sovrapposte con il punto di vista situato ad altezze diverse. Come Masaccio nella Trinità di Santa Maria Novella, Michelangelo vuole distinguere il mondo pagano "basso" in senso morale e intellettuale collocato più lontano dal mondo cristiano, più "alto" e quindi più vicino. La luce, simbolo della sfera spirituale e intellettiva, offuscata e diffusa nello sfondo e più limpida e chiara in primo piano, mette in evidenza forme e contrasti di colore. Così i due mondi paralleli rappresentati da Michelangelo appartengono a due dimensioni diverse: ognuna con la sua prospettiva, le sue leggi interne e la sua luce.

Testo di Giovanna Lazzi 

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This is the only work on a mobile support that can be attributed to Michelangelo with certainty, reported in the house of Agnolo Doni by both Anonimo Magliabechiano (1540) and Anton Francesco Doni. The commission story is narrated by Vasari as a curious one. As soon as it was prepared as "a round painting including an Our Lady, who kneels with both her legs and raises with her arm a cherub to hand it to Joseph so he receives it", the artist sent an errand boy with the work, but on the request of payment of 70 ducats, Doni offered but forty. Michelangelo had the picture brought back and demanded 500 ducats, demonstrating awareness of art’s value. On 3 June 1595, the impoverished Donis ceded the circle to Great-Duke Ferdinand I, who kept it in his bedroom in Palazzo Pitti. Only in 1902 was it reunited with the original frame, carved by Marco and Francesco del Tasso, probably on Michelangelo’s design, with the heads of Christ and the four prophets, deriving from reliefs on ancient sarcophagi, as Ghiberti had already tried out, in the frame of the North door of Battistero and then in that of Paradis. The commission was made for Agnolo’s wedding to Maddalena Strozzi (1504), to whose coat of arms the half-moons in the frame allude, or the baptism of his first-born Maria (1507).

Michelangelo had experimented in the potentia of the circular form, highly appreciated in the '400s for domestic devotional furniture, in the marble of the “Pitti Tondo” (Florence, Bargello) and “Taddei Tondo” (London, Royal Academy), meditating on Leonardo’s solutions to the problem of inserting figures into space, in that those further away should be “only hinted at and not finished" (Treatise on Painting, part III). Yet the artista considered that the best painting had the highest level of plasticity, as he observes in the 1550 letter to Benedetto Varchi: "I say that a painting appears to be considered better the more it approaches relief, a relief considered worse the more it approaches painting". The structure gives away Michelangelo’s principle that "the figure be pyramidal, serpentine, multiplied by one, by two, by three", and is then audaciously innovative. Contrary to usual iconography, the Madonna turns towards Joseph, kneeling behind, and between them, little Jesus play with his mother’s hair.

The figure of Mary is highly original, veilless, fixed on herself, with her strikingly plastic naked, muscular arms, new for a female figure. The physical vigour identifies with the moral strength of a heroic humanity that fights even against adversity, all concentrating on the man who cancels out the background landscape, where the profile of La Verna Sanctuary has also been identified, placed under the protection of the Art of Wool, of which Doni was a member. This very articulate composition is triggered by suggestions of Hellenistic marble, such as the Apollo del Belvedere and Laocoon, unearthed in January 1506. The first nude seems to be taken from the Apollo Seated (Florence, Uffizi), a 1st century A.D. Roman marble copy of a Hellenistic original, while the final one on the right quotes Cupid with Bow (Uffizi), and the Madonna recalls a dying Alexander the Great. According to Vasari, Michelangelo’s generation could “see old junk, cited by Pliny, drawn from earth", the origin of the “modern” manner, which would reach the highest level of imitation. The “classical” nudes represent pagan humanity, separated by the wall of Original Sin by the Holy Family, as in the Madonna of Luca Signorelli (Florence, Uffizi), which belonged to Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, with the Virgin and Child in the foreground and four naked shepherd boys. The symbolism is analogous: the nudes humanity ante legem, before God dictated the tablets of Law to Moses, Mary and Joseph humanity sub lege (after the Law of Moses), Baby Jesus the world sub gratia, after the Revelation, Baby Saint John, recognisable thanks to the cross he holds on his shoulders, the link between pagan and Christian worlds. Yet Michelangelo’s youths are neither shepherds nor completely nude, while Saint John becomes a symbol of baptism, supporting the hypothesis of the occasion of the birth of Mary, since the Donis ardently wished for a child, so much so that the back of Raphael’s portraits depict two episodes from the myth of Deucalion and Pyrrha, attributed to the so-called Master of Serumido. The nudes have also been interpreted as an allusion to children dying before baptism, as beauty and nudity are linked to the theme of the Resurrection, and, as Saint Paul says in the Letter to the Ephesians, youthful nudity represents liberation from sin, and the wall they perch on could symbolise the “Holy Temple” that each of us strives to form, so one passes from paganism to the salvation of Christian life through baptism. The nakes figures plastically animate the space, which is conceived not as a neutral background but as a counterpoint, while the bright, hoary easel highlights the volumes.

The floor in the foreground is higher than in the background, implying the use of two different, overlapping perspective constructions, with a vanishing point positioned at different levels. Like Masaccio in the Holy Trinity, Michelangelo wishes to distinguish the morally, intellectually “low” pagan world, located further away, from the “higher”, hence closer Christian world. The light, symbol of the spiritual, inteelectual sphere, dimmed and spread in the background and clearer and more limpid in the foreground, highlights forms and colour contrasts. Thus the two parallel worlds represented by Michelangelo belong to two different dimensions: each with its perspect, inner laws and light.

 Text by Giovanna Lazzi

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Cest la seule œuvre sur un support mobile que lon puisse attribuer avec certitude à Michel-Ange, signalée dans la demeure de Agnolo Doni tant par lAnonyme Magliabechiano (1540) que par Anton Francesco Doni. L’épisode de la commission est raconté par Vasari comme une histoire curieuse. Dès que fut prêt "un tondo peint où se trouve Notre Dame, agenouillée sur ses deux jambes, qui lève les bras en lair pour présenter un angelot à Joseph qui le reçoit », lartiste envoya un garçon avec l’œuvre, mais après requête du paiement de soixante-dix ducats, Doni nen offrit que quarante. Michel-Ange fit ramener le tableau et exigea cent quarante ducats, mettant en avant la conscience de la valeur artistique. Lartiste, cependant, pensait que la meilleure peinture était celle qui possédait le degré le plus élevé de plasticité, comme en témoigne son observation dans la lettre adressée en 1550 à Benedetto Varchi : « je dis que la peinture me semble ne plus être considérée comme bonne lorsquelle tend dautant plus au relief et le relief dautant plus considéré comme mauvais lorsquil tend dautant plus à la peinture » La structure, qui traduit le principe de Michel-Ange selon lequel « le personnage doit être pyramidal, de forme serpentine, multiplié une, deux, trois fois », se réle ainsi audacieusement novatrice. La Vierge, contrairement à liconographie la plus répandue, se tourne vers Joseph, agenouillé derrière elle, avec entre eux le petit enfant Jésus qui joue avec les cheveux de sa maman. Le personnage de Marie est très original : sans voile, vissée sur elle-même, les bras nus et musclés au relief plastique incontestable sont inédits pour un personnage féminin. La vigueur physique est identifiée à la force morale dune humanité héroïque qui lutte également dans ladversité, tout se concentre sur lhomme qui annule jusquau paysage à larrière-plan, où, par ailleurs, a été identifiée la silhouette du sanctuaire de lAlverne, placé sous la protection de lArt de la Laine auquel Doni était inscrit.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Madonna di SenigalliaMadonna of SenigalliaMadone de Senigallia

Piero della FrancescaPiero della FrancescaPiero della Francesca

L’opera, che raffigura la Madonna con il Bambino benedicente, proviene dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie di Senigallia e giunse in Galleria nel 1917, da dove venne trafugata il 6 febbraio del 1975 e recuperata a Locarno il 22 marzo dell'anno successivo. Commissionata da Federico da Montefeltro come la pala di Brera, sarebbe stata poi collocata nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, edificata nel 1491 su progetto di Baccio Pontelli come voto fatto da Giovanni Della Rovere per la nascita del tanto desiderato figlio maschio, Francesco Maria (25 marzo 1490). La complessa vicenda attributiva vede concorde la critica soprattutto a seguito del restauro condotto nel 1953 nell’Istituto Centrale del Restauro di Roma sotto la direzione di Cesare Brandi, che seguiva una prima fondamentale pulitura richiesta nel 1892 da Domenico Gnoli. Nel 1822 Padre Luigi Pungileoni aveva scritto all’amico Raimondo Arnaldi di aver trovato un abbozzo della Pala di Brera, allora ritenuta di Fra’ Carnevale, nel 1854 Gaetano Moroni la assegnò a Piero e individuò nei due angeli Giovanna, figlia di Federico, e Giovanni della Rovere, signore di Senigallia e nipote di Papa Sisto IV, sposati pro-forma nel 1474, poiché la sposa era giovanissima e poi nel 1478. Maria Grazia Ciardi Duprè dal Poggetto considera la tavola un omaggio di Federico alla moglie Battista Sforza, scomparsa a soli ventisei anni nel 1472, rappresentata nella Vergine e il figlio Guidobaldo nel bambino.

Il dipinto presenta affinità formali e stilistiche con la pala di Brera (databile al 1472 circa), da cui si copiano i due angeli, ma le figure sono collocate su uno sfondo dissimmetrico con  una parete piena e una nicchia con mensole sulla destra. La straordinaria illuminazione con il raggio che proviene dalla finestra è in debito della conoscenza di quei fiamminghi come Giusto di Gand, presente in quegli anni a Urbino. Tuttavia la sensibilità dell'artista è talmente complessa da raggiungere esiti ben diversi grazie anche alla fervida cultura della corte urbinate. L’astratta e solenne struttura del Palazzo ducale stesso esercitò un fascino non secondario ed è apertamente richiamata nei dettagli architettonici. Molti elementi rimandano a simbologie mariane e cristologiche come la porta che ricorda la Madonna come Ianua Coeli o la camera dal letto, allusione come la rosa bianca  e il fascio di luce al concepimento virginale. Il corallo, apotropaico segno di protezione dei bambini diventa simbolo della Passione per il colore rosso-sangue, il cero pasquale della candelabra indica morte e rinascita, la pisside fa pensare all’eucarestia, la cesta di vimini con i veli al sudario. 

Maria indossa la gamurra con il dettaglio delle cordelle apribili come la Madonna del parto di Monterchi quasi a sottolineare il ruolo terreno e domestico di madre contraddetto dalla ieratica immobilità degli angeli. La sacralità della vergine, obbediente all'iconografia, con la ricchezza dei rimandi simbolici si unisce ad una visione più intima e terrena consona ad una committenza profana.

Testo di Giovanna Lazzi

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This work, portraying the Madonna with the blessing Child, comes from the Church of Santa Maria delle Grazie in Senigallia and reached the Gallery in 1917, whence it was looted on 16 February 1975, to reappear at Locarno on 22 March of the following year. Commissioned by Federico da Montefeltro as the Brera Altarpiece, it would then be placed in the Church of Santa Maria delle Grazie, built in 1491 to a design by Baccio Pontelli as a vow from Giovanni Della Rovere for the birth of his much desired male child, Francesco Maria (25 March 1490). The complex attribution history mainly sees the critics agree after the restoration led by Rome’s Central Restoration Institution under the direction of Cesare Brandi, who carried out an initial basic cleaning, requested by Domenico Gnoli in 1892. In 1822 Father Luigi Pungileoni wrote to his friend Raimondo Arnaldi that he had found a sketch of the Brera Altarpiece, then believed to be by Fra’ Carnevale; in 1854 Gaetano Moroni assigned it to Piero and recognised in the two angels Giovanna, Federico’s daughter, and Giovanni della Rovere, Lord of Senigallia and Pope Sixtus IV’s nephew, wed pro-forma in 1474, as the bride was very young, and then in 1478. Maria Grazia Ciardi Duprè dal Poggetto considers the panel a homage by Federico to his wife Battista Sforza, who died at just twenty-six in 1472, portrayed in the Virgin, and his son Guidobaldo in the child.

The painting displays formal, stylistic affinities with the Brera Altarpiece (dated to around 1472), its two angels copied therefrom, but the figures are set on a dissymetric background with a full wall and a niche with shelves on the right. The extraordinary illumination with the ray coming from the window indicates awareness Flemish artists such as Justus van Gent, present at Urbino in those years. Yet the painter’s sensitivity is so complex as to obtain quite different results, not least due to the fervid culture of the Urbino court. The abstract, solemn structure of the Ducal Palace generated quite some fascination and is openly taken up in the architectural details. Many elements go back to symbolism of Mary and Christianity, such as the door, which recalls the Madonna as Ianua Coeli, or the bedroom, an allusion, like the white rose and knot of light, to the immaculate conception. The coral, apotropaic sign of protecting children, becomes a symbol of the Passion with its blood red colour; the Easter candle of the candelabra indicates death and rebirth; the pyx brings to mind the Eucharist, the wicker basket with its veils the shroud. 

Maria wears the gamurra with its detail of opening cords, like the Madonna of the Parturition by Monterchi, almost as if to emphasise her earthly, domestic mother’s role, contradicted by the hierarchic immobility of the angels. The holiness of the virgin, according to iconography, with its wealth of symbolic references, joins a more intimate, earthly vision consonant with a profane commission.

Text by Giovanna Lazzi

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L’œuvre, commissionnée par Frédéric de Montefeltro, présente des affinités formelles et stylistiques avec le retable de Brera. Lextraordinaire éclairage par le rayon qui traverse la fenêtre est à mettre sur le compte de la connaissance des flamands tel Juste de Gand, qui se trouvait à Urbino au cours de ces années-là. Cependant la sensibilité de lartiste est si complexe quelle atteint des résultats bien différents notamment grâce à lexubérante culture de la cour dUrbino. La structure abstraite et solennelle du Palais ducal lui-même exerça une fascination non négligeable et se trouve délibérément citée dans les détails architecturaux. De nombreux éléments renvoient à la symbolique de Marie et du Christ, telle la porte qui rappelle la Vierge comme étant Ianua Coeli ou la chambre à coucher, allusion tout comme la rose blanche et le faisceau de lumière, à la conception virginale. Le corail, symbole de protection des enfants, devient symbole de la Passion du fait de sa couleur rouge sang, le cierge pascal du candélabre désigne mort et renaissance, la pyxis fait penser à leucharistie, la corbeille en osier avec les voiles au suaire. Marie porte une chamarre dont le détail des cordelettes pouvant souvrir comme la Vierge de laccouchement de Monterchi semble souligner le rôle terrestre et domestique de mère que contredit limmobilité hiératique des anges.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Pala di Bosco ai FratiAltarpiece of Bosco ai Frati

Beato AngelicoBeato Angelico

La pala per l'altare maggiore del convento francescano del Bosco ai Frati, sotto il patronato di Cosimo de' Medici fin dal 1420, venne dipinta dall'Angelico dopo il suo rientro da Roma, dal 1450, come testimonia la presenza di san Bernardino in uno scomparto della predella, canonizzato solo in quell'anno. Rinnovando il suo antico legame con i Medici, l'Angelico torna a lavorare con Michelozzo artefice del progetto della chiesa, per l’ultima sua impresa su tavola, prima di partire per Roma dove morì nel 1455. Lo spazio è delimitato da una parete in cui si aprono profonde nicchie con un bel gioco di prospettiva e chiaroscuro e, come in molti esempi dell'epoca, costruisce una chiusura al mondo esterno, alluso tuttavia da un folto bosco in cui si distinguono le palme, a ricordo della passione di Cristo. La nicchia profonda con volta a conchiglia, altro simbolo mariano, incornicia la Madonna seduta su un pancale marmoreo coperto da un drappo e un ampio cuscino. L'oro di ricordo bizantino del tendaggio pendente dietro la Vergine e dei tessuti della seduta, unito all'azzurro preziosissimo dell'abito e dell'avvolgente mantello di Maria, conferisce un tocco di potente regalità alla delicata figura, che appare così un'icona smaltata quasi fatta di pietra dura. Il tenero nudo di Gesù unisce alle caratteristiche del putto classico un atteggiamento dolcemente umano nel rapporto affettuoso con la madre, con un sottile richiamo simbolico alla sua missione nella piccola melagrana, il frutto indicatore del dualismo vita/morte nel mito greco di Persefone (che doveva trascorrere sei mesi all'anno col marito Ade nel regno dei morti per aver mangiato sei semi di melagrana), segno dunque di fertilità della madre terra ma, nel versante cristiano, anche allusione al martirio della croce per il rosso sangue dei chicchi. I tre santi a sinistra (sant'Antonio da Padova, san Ludovico di Tolosa in abito vescovile, san Francesco) appartengono all'ordine francescano, Cosma e Damiano, famosi taumaturghi, erano protettori dei Medici, san Pietro Martire, domenicano come l'Angelico vuole sottolineare l'amicizia tra i due ordini mendicanti.  Il recente restauro ha riportato a splendere l'oro zecchino e la polvere di lapislazzuli della varietà più pregiata, proveniente dall’attuale Afghanistan, che testimoniano la volontà di magnificenza del committente, senza annullare la semplicità francescana dell'insieme, ove si intravedono convergenze con la coeva pittura fiamminga.

Testo di Giovanna Lazzi

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The piece for the largest altar in the Franciscan Convent Bosco ai Frati, under the patronage of Cosimo de' Medici until 1420, was painted by Angelico after his return from Rome, in 1450, as is demonstrated by the presence of Saint Bernardino, canonised only in that year, in a section of the dais. Renewing his previous ties with the Medici, Angelico went back to working with Michelozzo, architect of the church project, for his final work on panel, before leaving for Rome, where he would die in 1455. The space is delimited by a wall in which deep recesses open, with a fine play of perspective and chiaroscuro, and, as in many examples from the period, it forms an opening onto the outer world, alluded to by thick woods in which palms may be distinguished, recalling the Passion of Christ. The deep recess with its shelled vault, another symbol of Mary, frames the Madonna as she sits on a marble bench covered by a drape and a broad cushion. The Byzantine-recalling gold of the curtain hanging behind the Virgin and the textile of the chair, along with the precious blue of Mary’s clothes and the cloak wrapping round her, confer a touch of powerful regality onto the delicate figure, who thus appears as an enamelled icon, almost made of hard stone. The tender nude of Jesus adds to the features of the classical cherub an attitude that is sweetly human in the affectionate relationship with the mother, with a subtle symbolic reference to His mission in the small pomegranate, the fruit indicating the dualism of life and death in the Greek myth of Persephone (who had to spend six months a year with her husband Hades in the kingdom of the dead for eating six pomegranate seeds), a sign, then, of the fertility of the mother earth - but also, in the Christian perspective, an allusion to martyrdom on the Cross through the red colour of the seeds. The three saints on the left (Saint Anthony of Padua, Saint Louis of Toulouse in his episcopal gown, Saint Francis) belong to the Franciscan order; Cosmas and Damian, famous miracle-workers, were protectors of the Medici; Saint Peter the Martyr, Dominican like Angelico, aims to underline the friendship between the two Mendicant orders. Recent restoration has returned the shine to the pure gold leaf and the dust of the lapis lazuli of the most prized variety, from what is now Afghanistan, so as to demonstrate the commissioner’s desire for magnificence, without wiping out the Franciscan simplicity of the whole, in which convergence with Flemish painting of the period may be espied.

Text by Giovanna Lazzi 

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CrocifissioneCrucifixion

Beato AngelicoBeato Angelico

Conservato al Metropolitan Museum di New York dal 1943, il dipinto è attribuito al frate domenicano Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico (Vicchio di Mugello, ca 1400-Roma, 1455) in virtù della condotta esistenziale, del repertorio iconografico, del carattere devozionale della sua opera e dello stile, che si qualifica come una sintesi di prospettiva, luce e colore. Il soggetto illustrato è frequente nel catalogo dell’Angelico. La croce posta di taglio, la Madonna svenuta in primo piano, il sangue che zampilla dalla ferita al costato di Cristo saturano l’immagine di dramma ed espressività. Le figure, atteggiate in pose variate, sono distribuite su un fondo dorato di matrice tardogotica. Il trattamento dei volti e la loro caratterizzazione trovano riscontri nella celebre Adorazione dei Magidipinta da Gentile da Fabriano (Fabriano, ca 1370-Roma 1427) nel 1423 per il banchiere Palla Strozzi, oggi alla Galleria degli Uffizi. Il quadro dell’Angelico è pertanto rappresentativo di una fase suggestionata dall’opera del pittore marchigiano, esponente del Gotico Internazionale. Il maestro non tarderà però a comprendere e reinterpretare il rivoluzionario contributo offerto da Masaccio allo sviluppo della cultura pittorica del primo Quattrocento. Grazie a questi stimoli l’Angelico intraprende un percorso di innovazione e ricerca che concorre a inquadrarlo come uno dei grandi protagonisti del Rinascimento fiorentino. Lo testimoniano soprattutto la decorazione della Cappella Niccolina in Vaticano, commissionata da papa Niccolò V, e il vasto programma figurativo del convento di San Marco a Firenze, dove l’artista affresca in due tappe – tra il 1437 e il 1447 e tra il 1450 e il 1453 – quarantaquattro celle, la Sala Capitolare e l’Ospizio dei Pellegrini. 

Testo di Maria Tersa Tancredi

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Conserved at the Metropolitan Museum of New York since 1943, the painting is attributed to the Dominican monk Giovanni da Fiesole, called Beato Angelico (Vicchio di Mugello, ca 1400-Rome, 1455) by virtue of the existential conduct, iconographic repertory, and the devotional character of the work and the style, qualified as a synthesis of perspective, light and colour. The subject illustrated is frequent in Angelico’s catalogue. The cross placed cut-wise, the close-up fainting Madonna, the blood spurting from the wound on Christ’s ribs fill the image with drama and expressiveness. The figures are set in various poses and distributed over a golden background, late Gothic in matrix. The facial treatment and characterisation find correspondence in the famed Adoration of the Magi painted by Gentile da Fabriano (Fabriano, ca 1370-Rome 1427) in 1423 for the banker Palla Strozzi, now at the Uffizi Gallery. Angelico’s picture is, then, representative of a phase suggested by the work of the Marche painter, exponent of international Gothic. But the master would not hesitate to understand and reinterpret the revolutionarycontribution Masaccio offered to developing the pictorial culture of the early 1400s. by virtue of this stimulus, Angelico undertook an innovative research path that would lead to his being listed among the greatest players in the Florentine Renaissance. This is particularly clear from the decoration of the Niccolina Chapel in the Vatican, commissioned by Pope Niccolò V, and the vast programme to decorate the San Marco Convent in Florence, where the artist frescoed 44 cells, the Chapter House and Pilgrims’ Hospice in two stages, between 1437 and 1447 and between 1450 and 1453. 

 Text by Maria Teresa Tancredi

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CrocifissioneCrucifixion

MasaccioMasaccioMasaccio

L'opera, acquistata nel 1901 dalla proprietà De Simone, nel 1906 fu identificata da Suida come scomparto centrale del registro superiore del polittico di Pisa, posta a circa cinque metri di altezza. La scena è ridotta all’essenziale, nell'assoluta concentrazione sull’evento tutto umano dove ogni figura vive la sua individualità pur se inserita con precisione geometrica nello spazio in virtù di solide linee costruttive che si dipartono dai bracci della croce, sostanziata dal colore che la isola dal fondo d'oro e ne plasma ruolo e psicologia. Consapevole della relatività dell’immagine, diversa a seconda del punto di vista, Masaccio rappresentò il corpo di Cristo violentemente scorciato dal basso, con la testa affondata nelle spalle, segno del dolore della morte ma anche visto dall'occhio dello spettatore. La tipologia riprende il Cristo dolente, di lontana tradizione rinnovata, però, dal concetto tutto umano del'400. Il volto bruno esprime l'angoscia del momento supremo quando affida la Madre a San Giovanni ricordando il passo dell’Apocalisse “Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”. Dopo il restauro del 1956 l'albero è tornato visibile al sommo della croce grazie alla rimozione del cartiglio con l’I.N.R.I., dovuto ad una ridipintura seicentesca. 

La Madonna è chiusa nella massa pesante come pietra del mantello, dolorosa come in una lauda, con le mani contratte, quasi un segno dello strazio contenuto con severa dignità mentre il giovane discepolo si piega su sé stesso come incapace di sopportare il dolore e la fatica della sua missione. A raccordare i due irrompe la straordinaria Maddalena inginocchiata di schiena, di cui non si vede il volto ma solo la massa bionda dei capelli sparsa sul mantello rosso squillante come un grido incontenibile. Le braccia spalancate, che danno il tono della sacra rappresentazione, timbrano tutta la scena con la loro incredibile potenza, evocando l'antico pianto funebre della tradizione mediterranea, tutto declinato al femminile. Roberto Longhi la considerava leggermente posteriore come farebbe pensare l'aureola senza decorazioni, che si sistemavano prima della pittura della tavola; si tratterebbe quasi di una variante psicologica e di un ulteriore elemento di equilibrio strutturale. Senza nulla perdere del valore simbolico del messaggio divino, Masaccio trasporta la scena sacra nella realtà di un mondo di uomini, consapevoli di sé e del proprio destino.

 Testo di Giovanna Lazzi

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This work was purchased from the property of De Simone in 1901, and identified by Suida in 1906 as the central part of the upper register of the Pisa Polyptych, placed around five metres high. The scene is reduced to the essentials, completely concentrating on the fully human event, in which each figures lives its individually despite being inserted into space with geometric precision, by virtue of the  solid construction lines that depart from the arms of the cross, made substantial by the colour isolating it from the gold background and forms its role and psychology. Aware of the relativity of the image, varying depending on the point of view, Masaccio depicted the body of Christ violently foreshortened from below, His head collapsed into His shoulders, a sign of the pain of death but seen from the viewer’s eye too. The typology uses the traditional figure of the Suffering Christ but renews it with the totally human concept of the 1400’s. The brown face conveys the anguish of the utmost moment when he entrusts His Mother to Saint John, recalling the passage from the Apocalypse: “To him that overcometh will I give to eat of the tree of life, which is in the Paradise of God”. Restoration in 1956 removed the inscription with INRI, from 17th-century repainting, and made the tree at the top of the Cross visible again. 

The Madonna is closed in the mass of her cloak, heavy as stone, and in anguished as in worship, her hands clasped, almost a sign of distress withheld by severe dignity, while the young disciple curls upon himself, as if unable to bear the pain and burden of his mission. The extraordinary Mary Magdalene bursts forth to join them, kneeling from behind, showing not her face but only the blonde mass of hair spread across her red cloak, vibrant as if with an uncontainable shriek. Her open arms set the tone of the sacred portrayal and tinge the whole scene with their incredible power, evoking the ancient funeral wail of the Mediterranean tradition, declined by women alone. Roberto Longhi considered it slightly earlier, pointing to the halo without decorations, which were set up before the panel was painted; this is almost a psychological variation and further element of structural balance. Maintaining the symbolic value of the divine message intact, Masaccio brings the holy scene into the reality of a world of men, aware of themselves and their destiny.

 Text by Giovanna Lazzi

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San PaoloSaint Paul

MasaccioMasaccioMasaccio

Non vi sono testimonianze che l'opera fosse appartenuta al Polittico del Carmine, ma lo stile, il collegamento con il Sant'Andrea (Los Angeles, Getty Museum) e la provenienza da Pisa, lasciano presupporre che avesse fatto parte del grande complesso, forse sopra il perduto pannello laterale di San Pietro. Secondo la tradizionale iconografia, Paolo tiene con la mano destra la spada, simbolo del suo martirio, e con la sinistra gli Atti degli Apostoli. La figura è modellata dalla classica cadenza dei panneggi del mantello di rosato che esalta il giallo dorato della tunica impreziosita da un raffinato ricamo al collo. Il senso di grandiosità dato dai volumi si accentua grazie alla luce che plasma il corpo, la leggera torsione della testa, che lo volge quasi di tre quarti, imprime vitalità al personaggio e ne esalta l'austera severità del filosofo espressa nella fronte alta e nella massa compatta dei capelli che, con la barba minuziosamente tratteggiata e sapientemente lumeggiata, incornicia il volto di uomo forte e sapiente. A differenza dello scultoreo Sant'Andrea, il trattamento dell'incarnato e dei tessuti appare più delicatamente sfumato e pittorico, senza nulla perdere della maestosa monumentalità di ricordo donatelliano. Inserito nella serrata impaginazione del polittico anche san Paolo viveva la sua singolarità di individuo ma coerentemente partecipe di tutto l'insieme, dal momento che tutti i pannelli rispondevano ad un unico punto di fuga in modo che la composizione risultasse unitaria. 

 Testo di Giovanna Lazzi

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There are no reports that this work belonged to the Carmine polyptych, but its style, connection to the Saint Andrew (Los Angeles, Getty Museum) and origin of Pisa imply that it was part of the great complex, perhaps above the lost side panel of Saint Peter. In accordance with iconographic tradition, Paul holds the sword, symbol of his martyrdom, in his left hand, and the Acts of the Apostles in his right. The figure is shaped by the classic cadences of the rosé cloak drapes, bringing out the golden yellow of the tunic that is embellished by its refined embroidery around the neck. The sense of greatness, given by the volumes, is highlighted by the light forming the body, and the slight twist of the head, which turn sit almost three-quarters, impresses vitality onto the character and underlines the philosopher’s austere severity, expressed by the high forehead and compact mass of hair which, with the minutely treated, wisely illuminated beard, frame the the face of this strong, learned man. The handling of the subject and the textiles appears more delicately toned and pictorial than the sculptural Saint Andrew, without losing any of the masterful monumentality of the Donatello reference. Inserted into the tight set of the polyptych, Saint Paul too lived his uniqueness as an individual, but is a coherent participant in the whole, since all the panels relate to a single vanishing point so that the composition appears unified. 

Text by Giovanna Lazzi 

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Crocifissione di San PietroCrucifixion of Saint Peter

MasaccioMasaccioMasaccio

I pannelli della predella con l'Adorazione dei Magi e il Martirio di Pietro e Giovanni Battista furono acquistati nel 1880 dalla collezione Capponi di Firenze. Nel Polittico di Pisa la Crocifissione si trovava nel lato sinistro, al di sotto di un perduto pannello con il san Pietro. 

La figura del santo, con l'aureola scorciata in prospettiva, inchiodato alla croce, a testa in giù secondo l'iconografia consueta, scandisce lo spazio e attraverso un gioco di linee costruttive cattura interamente l'attenzione. Due costruzioni laterali in funzione di quinte architettoniche inquadrano la scena come periatti teatrali e alludono agli edifici romani tradizionalmente legati al martirio di Pietro: la piramide di Caio Cestio e la Meta Romuli, un mausoleo piramidale ancora esistente nel XV secolo in prossimità del Vaticano; nel palazzo sullo sfondo si apre una porta che immette illusionisticamente in un interno con la sua massa buia prolungando lo spazio. Le guardie allineate, con il volto abbassato, muti e quasi vergognosi comprimari del supplizio, seminascoste dagli scudi, si illuminavano di guizzi d luce per gli inserti metallici degli elmi, ora opachi. L'abbigliamento e le fisionomie denunciano il ruolo e il peso morale dei personaggi: la serena immobilità del santo con gli occhi sbarrati in un'impassibile compostezza, il corpo statuario a contraddire l'età nel classico concetto della bellezza che si equivale alla grandezza morale, di contro i due carnefici dal volto oscurato dalla massa compatta dei capelli a negarne l'umanità, il cui ruolo subalterno è sottolineato dai farsetti attillati e dalle calze che comunque evidenziano l'anatomia e l'attenzione al dettaglio con il particolare degli aghetti e delle brache in vista. 

Un modello iconografico è stato riconosciuto in una predella di Jacopo di Cione già nella chiesa di San Pier Maggiore a Firenze, (Pinacoteca Vaticana) mentre le piramidi erano già presenti, tra l'altro, nel Polittico Stefaneschi di Giotto (Pinacoteca Vaticana). La rigorosa costruzione prospettica, la luce, che dà concretezza e volume ad ogni singolo elemento collocato razionalmente seguendo un principio unitario, creano le condizioni affinchè ogni individuo viva come uomo con le sue caratteristiche etiche e sociali. 

 Testo di Giovanna Lazzi

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The panels with the predella with the Adoration of the Magi and the Marytrdom of Peter and John the Baptist were purchased in 1880 from the Capponi Collection in Florence. In the Altarpiece of Pisa, the Crucifixion stood on the left, beneath a lost panel with Saint Peter. 

The figure of the saint, his halo foreshortened by perspective, nailed to the cross, upside down in accordante with the traditional iconography, sets out the space and uses a play of constructive lines to capture one’s attention. Two side constructions, functioning as artchitectural wings, frame the scene like theatre periacts and allude to the Roman buildings traditionally linked to the martryrdom of Peter: the Pyramid of Caius Cestius and Meta Romuli, a pyramidal mausoleum, still existing in the XV century near the Vatican; a door in the background palace opens up and lengthens the space by creating the illusion of an interior with a dark mass. The aligned guards, their heads lowered, silent and almost ashamed in supporting the beseeching, half-hidden by their shields, were illuminated by shots of light and (now opaque) metallic helmet insertions. The clothing and physiognomies convey the role and moral weight of the characters: the serene motionlessness of the saint, his eyes wide in unshakeable self-control; his statuesque body contradicting the age in the classical concept of beauty as equivalent to moral greatness, as against the two executioners, their faces obscured by the compact mass of hair so as to deny their humanity, their subordinate role emphasised by their pointed doublets and stockings, though the details of the needles and slings stress anatomy and precision. 

An iconographic model has been identified in a predella of Jacopo di Cione, already in the Church of San Pier Maggiore at Florenze (Pinacoteca Vaticana), while the pyramids were previously present in Giotto’s Stefaneschi Triptych (Pinacoteca Vaticana) and elsewhere. The rigorous perspective construction and light give concreteness and volume to every single element placed rationally and following a unifying principle, creating the conditions for each individual to live as a man with his ethical and social characteristics. 

 Text by Giovanna Lazzi

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Lamento sul Cristo mortoDead ChristChrist mort

Andrea MantegnaAndrea MantegnaAndrea Mantegna

Opera celeberrima di Andrea Mantegna, oggetto di ampia fortuna, ritrovata – dopo la morte dell’artista – nel suo studio a Mantova, la città dei marchesi Gonzaga dei quale il maestro diviene pittore di corte nel 1460. Il dipinto, realizzato intorno al 1478, stupisce per la superba inquadratura ravvicinata e l’ardita visione di scorcio del corpo morto di Cristo che è allungato su una lastra marmorea corrispondente forse alla reliquia dell’unzione venerata, un tempo, a Costantinopoli. L’opera si segnala inoltre per l’accentuata espressività impressa alla figurazione attraverso il concorso di differenti elementi: la bassa intonazione cromatica; l’uso della luce finalizzato ad accrescere la tragicità dell’evento; l’incisività del disegno; la fredda durezza del marmo;le pieghe taglienti del lenzuolo; i fori prodotti dai chiodi; i piedi di Cristo che, in primo piano e oltrepassando la lastra funeraria, mediante un sapiente espediente illusionistico-prospettico, sembrano fuoriuscire dallo spazio del dipinto e invadere quello dell’osservatore, coinvolgendolo nel dramma raffigurato; i volti della Madonna e di San Giovanni segnati, corrugati e stravolti dal dolore; le realistiche lacrime che entrambi – inconsolabili – stanno versando; la bocca urlante della Maddalena che si dispera nell’ombra. Un ulteriore aspetto che concorre a rimarcare l’originalità dell’opera è l’adozione, dal punto di vista esecutivo, della tecnica della tempera a colla, un agglutinante del colore – quest’ultimo – di origine animale utilizzato in sostituzione dell’uovo per ottenere effetti di opaca luminosità.

Testo di Maria Teresa Tancredi

 

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This renowned work by Andrea Mantegna enjoyed great fortune following its discovery after the artist’s death in his studio at Mantoa, the city of the Marquis Gonzaga, whose court painter the master became in 1460. Made around 1478, the painting strikes one with its haughty, close-up frame and the audacious shortened vision of the dead body of Christ, lain on a marble slab that may correspond to the relics of the unction once venerated at Constantinople. It is further marked by the highlighted expressiveness impressed onto the figuration by three different, battling elements: the low chromatic intonation; the use of light to heighten the tragic event; the incisiveness of the drawing; the marble’s cold hardness; the sheet’s cutting folds; the holes made by the nails; the feet of Christ which, in close-up and going over the funeral slab, seem through a wise illusionist-perspective expedient to overpass the painting space and invade the observer’s, involving him in the drama depicted; the faces of the Madonna and Saint John, marked, wrinkled and overwhelmed by pain; the realist tears they are both unconsolably shedding; Magdalen’s screaming mouth disappearing into the shade. A further aspect competing to stress the originality of the work is the executive use of the tempera a colla technique, an animal-derived colour binder employed instead of egg to obtain opaque lighting effects.

Text by Maria Teresa Tancredi

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L’œuvre très cébre dAndrea Mantegna, objet dun large succès, retrouvée – après la mort de lartiste dans son cabinet à Mantoue, ville des marquis Gonzague desquels le maître devint peintre de cour en 1460. Cette peinture, réalisée autour de 1478, étonne par son superbe plan rapproché et son audacieuse vision condensée du corps mort du Christ, allongé sur une plaque de marbre correspondant peut-être à la relique de lonction vénéré, autrefois, à Constantinople. L’œuvre se démarque en outre par l'expressivité très marquée imprimée à la figuration par le concours de différents éléments : la tonalité chromatique basse, lutilisation de la lumière ayant pour but daugmenter le tragique de l’événement, le dessin incisif, la dureté froide du marbre, les plis coupants du drap, les trous produits par les clous, les pieds du Christ lesquels, au premier plan et dépassant de la plaque funéraire, grâce à un savant expédient dillusion de perspective, semblent déborder de lespace du tableau et envahir celui de lobservateur, limpliquant dans le drame représenté, les visages de la Vierge et de Saint Jean marqués, plissés et ravagés par la douleur, les larmes réalistes que tous deux versent, inconsolables, la bouche hurlante de Madeleine qui se désespère dans lombre. Un dernier aspect qui contribue à sarrêter encore sur loriginalité de l’œuvre est ladoption, du point de vue de lexécution, de la technique de la tempéra à la colle, un agglutinant pour la couleur, dorigine animale, utilisé en remplacement de l’œuf pour obtenir des effets de luminosité opaque.

Texte de Maria Teresa Tancredi

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PietàPietà

Rosso FiorentinoRosso FiorentinoRosso Fiorentino

In questo dipinto Rosso Fiorentino medita sul tema della morte di Cristo, con accenti fortemente drammatici. Il corpo del Salvatore, illividito ma marmoreo nella sua nudità studiata anatomicamente, occupa da protagonista il primo piano, catturando l'attenzione in virtù anche del gesto teatrale di Maria che pare ripetere nelle braccia spalancate il segno della croce del martirio. Chiusa nel viluppo delle vesti che ne appesantiscono la figura, il suo volto è quello di una donna del popolo, in contrasto con la bellezza raffinata della Maddalena, dove i delicati tratti del volto si esaltano per la complessa acconciatura alla moda e per i colori luminosi dell'abito. Assai particolare l'unica figura maschile nel circolo delle pie donne: il san Giovanni, inginocchiato di spalle nella classica posa della venere accovacciata, con una robustezza scultorea ormai "manieristica", che chiude la scena in basso e fa da contrappunto alla Maddalena. La bellezza fisica del giovane apostolo rivelata dalle forme tornite e dalla seminudità, contrasta con l'iconografia più consueta di un personaggio quasi umbratile e poco caratterizzato fisicamente, ma non è una novità per l'artista che spesso si compiace di rinnovare, nei dettagli, iconografie tradizionali. Grazie all'abile orchestrazione delle figure nello spazio, la scena acquista così la tragica musicalità di un compianto recitato nelle sacre rappresentazioni, dove i personaggi sono assoluti protagonisti di contro a un fondale cupo e appena accennato.

 Testo di Giovanna Lazzi

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Rosso Fiorentino considers the theme of the death of Christ, with highly dramatic tones. The body of the Saviour, bruised yet marmoreal in its anatomically studied nakedness, dominates the foreground, also capturing our attention by virtue of Mary’s theatrical gesture as her wide open arms seem to repeat the sign of the Cross of martyrdom. Wrapped in the tangle of clothes that weigh down her figure, her face is that of one of the people, contrasting with the refined beauty of Mary of Magdalene, where the delicate facial features are brought out by the complex, fashionable hairstyle and the colours of her garments, that iridescent shine that almost becomes a mark of the artist. The only male figure in the circle of pious women is rather peculiar: Saint John, kneeling down from behind in the classical pose of the crouching Venus, with "Manneristic" sculptured vigour, closing the lower scene and counterpointing Mary of Magdalene. The corporeal beauty of the youth, an apostle revealed in slim forms and semi-nudity, contrasts the more common iconography of an almost aloof subject with little physical characterisation; but this is nothing new for the artist, who often revels in renewing traditional iconography in fine detail. Due to the skillful orchestration of figures in space, the scene acquires the tragical musicality of mourning played out in sacred representations, where the characters are the absolute leaders against a background that is dark and barely touched upon.

Text by Giovanna Lazzi 

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PietàPietà

Giovanni BelliniGiovanni BelliniGiovanni Bellini

Databile intono al 1470 circa, il quadro è tra i dipinti più rappresentativi delle collezioni del Museo della città di Rimini, ritrae Cristo morto in pietà sorretto da tre angeli ed è legato alla prestigiosa committenza della famiglia Malatesta, signori del luogo. Tra l’altro il dipinto è stato a lungo custodito nel tempio Malatestiano progettato da Leon Battista Alberti, dialogando con gli affreschi lì realizzati da Piero della Francesca nel 1451. Nonostante l’essenzialità della raffigurazione, siamo di fronte a un’immagine esemplificativa della pluralità di relazioni e influenze che segnano l’evoluzione del lungo e prolifico cammino pittorico di Giovanni Bellini. Osservando l’opera, nel taglio della scena e nell’immagine di Cristo, appare ancora vivo l’influsso del cognato Andrea Mantegna, sposato con Nicolosia Bellini. Sulle sue orme il maestro veneziano si sgancia dall’ambiente tardogotico della bottega del padre Jacopo e getta le basi per lo sviluppo di una formula artistica in continua e progressiva evoluzione. Nell’arco del percorso belliniano il soggetto iconografico del dipinto è ricorrente. Più rara appare invece la soluzione dello sfondo scuro e monocromo, altro elemento di connessione con l’opera di Mantegna. Qui però Bellini intenerisce le asprezze del linguaggio del Mantegna e innesta elementi nuovi, come rivelano la vivacità cromatica delle ali degli angeli, la grazia delle espressioni, la naturalezza delle pose, la varietà dei gesti.

Testo di Maria Teresa Tancredi 

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This painting can be dated around 1470 and is one of the most representative works in the Rimini City Museum collection. It depicts the dead Christ in pietà supported by three angels and is linked to the prestigious commission of the Malatesta family, lords of the area. Among other things, the picture was long held in the Malatestian Temple designed by Leon Battista Alberti, connected to the frescos made there by Piero della Francesca in 1451. Despite the essentialness of the portrayal, we are in the presence of an image exemplifying the plurality of relationships and influences marking the evolution of Giovanni Bellini’s long, prolific painting career. Observing the work, we see the influence of the brother-in-law Andrea Mantegna, married to Nicolosia Bellini, remaining in the cut of the scene and the image of Christ. In his footsteps the Venetian master abandons the late Gothic environment of his father Jacopo’s workshop and lays the basis for the development of a continually, progressively evolving artistic formula.  per lo sviluppo di una formula artistica in continua e progressiva evoluzione. The iconographic subject of the painting recurs over Bellini’s work, while the dark, monochrome background solution, another element tying the work with Mantegna, seems rarer. But here Bellini softens the harsh Mantegna language and includes new elements, as is revealed by the chromatic vivacity of the angels’ wings, the grace of the expressions, the naturalness of the poses and the variety of the gestures.

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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PietàPietàPiété

Giovanni BelliniGiovanni BelliniGiovanni Bellini

Il dipinto, conservato nelle raccolte della Pinacoteca nazionale di Brera a Milano è realizzato tra il 1465-70 da Giovanni Bellini detto Giambellino, protagonista della pittura veneziana del Rinascimento, formatosi nella bottega, di tradizione tardogotica, del padre Jacopo e accanto al fratello Gentile. Il soggetto raffigurato coincide con il tradizionale e diffuso tema cristiano della Pietà, più volte proposto dall’artista con una peculiare compenetrazione tra figure e paesaggio. Al fondale aperto su un angolo della campagna veneta, con l’immancabile rocca fortificata a formare una quinta sulla sinistra, fa da contraltare – in primo piano – l’accorato e drammatico abbraccio della Vergine e di San Giovanni che sorreggono il corpo morto di Cristo al centro della composizione. La tensione emotiva della scena è rimarcata dall’iscrizione dipinta sul finto cartiglio in calce alla balaustra marmorea alla quale sono addossati i personaggi e che recita:

HAEC FERE QUUM GEMITUS TURGENTIA LUMINA PROMANT / BELLINI POTERAT FLERE IOANNIS OPUS

"Giacché questi occhi rigonfi di pianto [di Maria e Giovanni] quasi emettono gemiti, / l'opera stessa di Giovanni Bellini avrebbe potuto piangere". 

Tali versi, riconducibili al poeta latino Properzio, trovano un puntuale corrispettivo figurato osservando l’espressione della Madonna e del giovane apostolo. Sul piano dello stile l’opera documenta una fase della vicenda di Bellini segnata da un allentamento degli stimoli esercitati dalla vicinanza artistica con il cognato Andrea Mantegna, il grande pittore della corte dei Gonzaga a Mantova. Nella tavola braidense le istanze della cultura del Mantegna persistono nei tratti spigolosi e marcati che evidenziano i contorni delle figure, il busto e le mani del Cristo. Il dipinto svela però la definizione di uno stile già intensamente moderno e di evidente caratterizzazione. La predominanza dei valori cromatici e l’equilibratissima giustapposizione di toni vibranti di luminosità danno infatti la misura dell’innovativo linguaggio del maestro e testimoniano tangenze con l’opera, all’insegna di una magistrale sintesi prospettica tra luce e colore, di Piero della Francesca.

Testo di Maria Teresa Tancredi

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The painting, conserved in the collections of the Pinacoteca Nazionale, Brera (Milan), was made between 1465-70 by Giovanni Bellini, known as Giambellino, a key figure in Renaissance Venetian painting, who trained in the late Gothic-style workshop of his father Jacopo by his brother Gentile. The subject portrays coincides with the traditional, widespread Christian theme of Pietà, often presented by the artist with peculiar co-penetration of figure with landscape. The open background on a corner of Venetian countryside, with the inevitable fortified rock forming wings to the left, is contrasted by the foreground with the accurate, dramatic embrace of the Virgin and Saint John as they support Christ’s dead body at the centre of the composition. The emotional tension of the scene is marked by the painted inscription on the fake scroll at the foot of the marble balustrade which is by the subjects and read:

HAEC FERE QUUM GEMITUS TURGENTIA LUMINA PROMANT / BELLINI POTERAT FLERE IOANNIS OPUS

“While tear-swollen eyes issued groans /this work by Giovanni Bellini could weep".

These verses go back to the Latin poet Propertius are swiftly find pictorial correspondence  in the expression of the Madonna and the young apostle. Stylistically the work displays a phase in Bellini’s career marked by distance from the stimulus exercised from his artistic closeness to his brother-in-law Andrea Mantegna, the great painter of the Gonzaga Court at Mantua. In the Braidense panel, the instances of Mantegna culture persist in the spikey, marked traits emphasising the borders of the figures, and the bust and hands of Christ, but the painting bears the definition of an already intensely modern style and evident characterisation. The predominance of chromatic values and balanced juxtaposition of vibrant luminous tones supply a measure of the master’s innovative language and demonstrate tangents with the work of Piero della Francesca, with the majestic perspective between light and colour.

Text by Maria Teresa Tancredi 

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Le tableau est réalisé entre 1465 et 1470 par Giovanni Bellini, dit Giambellino, protagoniste de la peinture vénitienne de la Renaissance, formé dans latelier de tradition gothique tardive de son père Jacopo et aux côtés de son frère Gentile. Au plan du style, l’œuvre illustre une phase du parcours de Bellini marquée par un relâchement des stimulations exercées par la proximité artistique avec son beau-frère Andrea Mantegna, le grand peintre de cour des Gonzague à Mantoue. Dans le retable de Brera, les exemples de la culture de Mantegna résistent dans les traits anguleux et marqués qui mettent en évidence les contours des personnages, le buste et les mains du Christ. Le tableau réle cependant la définition dun style déjà intensément moderne et dune caractérisation évidente. La prédominance des valeurs chromatiques et la juxtaposition équilibrée des tonalités vibrantes de lumière donnent en effet la mesure du langage novateur du maître et témoignent de tangences avec l’œuvre de Piero della Francesca, à lenseigne dune synthèse magistrale de la perspective entre lumière et couleur. Le sujet représenté coïncide avec le thème chrétien traditionnel et répandu de la Pietà, proposé plusieurs fois par lartiste avec une interpénétration particulière des personnages avec le paysage. A larrière-plan ouvert sur un coin de campagne vénitienne et lincontournable château fortifié formant une coulisse sur la gauche, fait contrepoids au premier plan l’étreinte triste et dramatique de la Vierge et Saint Jean qui soutiennent le corps mort du Christ au centre de la composition. La tension émotive de la scène est ponctuée par linscription peinte sur le faux cartouche au bas de la balustrade en marbre sur laquelle sadossent les personnages déclamant : « HAEC FERE QUUM GEMITUS TURGENTIA LUMINA PROMANT / BELLINI POTERAT FLERE IOANNIS OPUS » (« si ces yeux larmoyants pouvaient émettre des gémissements, l’œuvre même de Bellini pourrait pleurer »).

Texte de Giovanna Lazzi 

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PietàPietà

PeruginoPerugino

Il dipinto presenta caratteri tipici del linguaggio di Pietro Vannucci detto il Perugino (Città della Pieve, 1448 ca-Fontignano, 1523) e illustra un soggetto frequente nel repertorio iconografico dell’artista focalizzato, per lo più, su temi cristiani. La scena è organizzata secondo uno schema basato su un armonioso gioco di equilibri e simmetrie. Domina la composizione il corpo morto del Cristo, sorretto dalla Vergine – seduta al centro –, da san Giovanni Evangelista e dalla Maddalena, inginocchiati alle estremità per sostenerne la testa e i piedi inermi. Alle loro spalle sono identificabili Nicodemo, inconsuetamente giovane, e Giuseppe d’Arimatea. La placida visione del sacro evento, svolto in maniera didascalica, è ribadita dalla grazia dei volti, dall’assenza di tensioni emotive, dalle corrispondenze cromatiche, dagli accordi coloristici. L’architettura d’inquadramento è disadorna, sobria ma solenne, con archi a tutto sesto che incorniciano l’arioso e sereno paesaggio sullo sfondo. L’opera si colloca in una parentesi del percorso dell’artista oggetto di fama crescente. Il maestro è già infatti inventore di uno stile e di una formula figurativa che lo qualificano come il più grande pittore del tempo, prima quindi della dirompente affermazione dell’allievo Raffaello, di Leonardo – che, come il maestro umbro, frequenta a Firenze la bottega di Andrea del Verrocchio –, di Michelangelo. Proprio grazie alla formazione fiorentina il linguaggio peruginesco si caratterizza per l’eccezionale perizia disegnativa e prospettica. Inoltre nel capoluogo toscano l’artista ha una fiorente bottega attiva fino a quando – mutati i tempi, i gusti e le istanze culturali – rientra in Umbria. Nella terra d’origine ripropone senza sosta i medesimi, collaudati modelli, lavorando fino alla morte, sopraggiunta a Fontignano, vicino a Perugia, tre anni dopo quella di Raffaello (6 aprile 1520), nel 1523. 

 Testo di Maria Teresa Tancredi

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The paInting displays features typical of the language of Pietro Vannucci, Perugino (Città della Pieve, 1448 ca-Fontignano, 1523) and illustrates a subject frequent in the iconographic repertory of the artist focusing mainly on Christian themes. The scene is organised according to a scheme based on a harmonious play of balance and symmetry. The composition is dominated by the dead body of Christ, upheld by the Virgin – sitting in the centre – and by Saint John the Baptist and Mary Magdalene, kneeling at the edge to support His lifeless feet and head. Nicodemus, unusually young, and Joseph of Arimathea can be identified behind them. The placid vision of the sacred event, carried out didactically, is asserted by the grace of the faces, the absence of emotional tension, the chromatic correspondences and the colour agreements. The architecture of the setting is bare, sobre but solemn, with round arches framing the harmonious, serene landscape in the background. The work is placed in a parenthesis in the path of the increasingly famous artist. The master has already invented a style and graphic formula qualifying him as the greatest painter of the period, so before the explosion of his student Raphael, Leonardo – who, like the Umbria master, attended Andrea del Verrocchio’s workshop in Florence – and Michelangelo. By virtue of the Flrentine education, Perugino’s language is marked by its exceptional design and perspective skill. Further, in the Tuscan capital the artist had a flourishing workshop, active until he returns to Umbria with the changing times, tastes and cultural instances. In his land of origin, he ceaselessly reasserts the same, tested models, working until his death, reaching Fontignano, near Perugia, three years after Raphael’s (6 April 1520), in 1523. 

 Text by Maria Teresa Tancredi

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Deposizione di CristoChrist at the SepulchreLe Christ porté au tombeau

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

Il dipinto, eseguito nel 1507, era completato da una cimasa e da una predella ora conservate in altre sedi museali. Costituisce un ulteriore avanzamento rispetto ai raggiungimenti già notevolissimi rappresentati dalla Madonna del prato, quella del cardellino e dalla Bella Giardiniera del Louvre (1506-07). Qui però si assiste ad una rappresentazione della storia, intesa come fatto dinamico, narrativo, come presentazione di un evento che si svolge sotto gli occhi dello spettatore. Ciò preannuncia la caratterizzazione monumentale impressa al racconto figurato messa in atto da Raffaello nelle Stanze Vaticane. Nella parte inferiore a destra la figura accosciata è una citazione da Michelangelo, punto di riferimento saliente, in grado di sollecitare nuovi accrescimenti nelle ricerche del Sanzio.

Commento di Ferdinando Bologna

 

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The painting was executed in 1507 and completed by a moulding and dais now in other museums. It shows an advance on Raphael's already remarkable achievements, the Madonna del Prato, the Goldfinch and the Beautiful Gardener in the Louvre (1506-07), as it portrays history as dynamic, narrative fact, an event occurring before the viewer’s eyes. This work preannounces the monumental characterisation he would give to the tales recounted in the Vatican Rooms. 

The squatting figure in the lower, right-hand area is a tribute to Michelangelo, a salient point of reference, urging Raphael on in his research.

A comment by Ferdinando Bologna

 

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Le tableau, peint en 1507, s’achevait par une cimaise et une prédelle, conservées aujourd’hui dans d’autres musées. Il représente une nouvelle avancée par rapport aux réalisations déjà remarquables que représentent la Madonna del Prato, la Madone du Chardonneret jaune et la Belle Jardinière du Louvre (1506-07). Ici, cependant l’histoire est représentée sous la forme d’un fait dynamique et narratif, un événement qui se déroule sous le regard du spectateur. C’est l’annonce de la monumentalité imprimée à l’histoire figurée par Raphaël dans les Salles du Vatican. Dans la partie inférieure droite la figure accroupie est une citation de Michel-Ange, point de repère important. capable de stimuler une nouvelle croissance dans la recherche du Sanzio.

Commentaire de Ferdinando Bologna

 

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Sigismondo MalatestaSigismondo MalatestaSigismondo Malatesta

Piero della FrancescaPiero della FrancescaPiero della Francesca

La tavola, a San Pietroburgo fino al 1889, passò nella collezione D’Ancona, poi in quella Contini-Bonacossi, e dal gennaio 1977 al Louvre. L'attribuzione di Giovanni Morelli a Piero della Francesca  fu confermata da Roberto Longhi prima della vendita al museo parigino e venne autorizzata all'esportazione con altri capolavori con un legge speciale che suscitò molte polemiche, nonchè successive perplessità da parte della critica. Piero della Francesca soggiornò nel 1451 presso la raffinata corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468, e ritrasse il signore in preghiera davanti a san Sigismondo nell'affresco al Tempio Malatestiano, di cui il ritratto su tavola riprende le sembianze. Contro alla cupa tonalità del fondo il profilo si staglia netto come un cammeo inciso, con la potenza di un imperatore, secondo la tradizione delle medaglie e delle monete, probabilmente ispirato alla splendida medaglia di Pisanello del 1445 o a quella di Matteo de' Pasti del 1446. La suggestione dell'antico timbra l'ufficialità del ritratto, non contraddetta dall'attenta resa naturalistica dei dettagli somatici, frutto della dimestichezza con i pittori fiamminghi, soprattutto Rogier van der Weyden. Il profilo tagliente con il naso adunco e le labbra sottili dimostra che il personaggio non è idealizzato nella resa fisionomica, anzi proprio la fierezza dello sguardo e la postura eretta e ferma, nel rispetto della tradizione medaglistica romana, ne esalta le qualità di signore, rigido e dispotico ma degno di rispetto e onore, un vero uomo d'arme e di governo, monumentale e statuario come un busto antico. La morbidezza della pittura a olio addolcisce la tonalità dell'incarnato e la pettinatura a calotta, di moda presso le corti, incornicia degnamente il volto esaltandone i tratti. Il magnifico tessuto broccato d'oro, nella sua preziosità materica, sottolinea il rango e l'attenzione alla moda, così importante come segno di status e potere. La luce, ancora più intensa per l'astrazione del fondo scuro, plasma efficacemente la diversa consistenza dei materiali e indugia persino sulla minuziosa descrizione della pelliccia che borda la giornea, mossa da un leggero quasi impercettibile spostamento del braccio, tale da rendere vivo un personaggio altrimenti chiuso in una fissità fuori del tempo. Tramite questi dettagli il profilo diventa espressione della singolarità dell’individuo, nel solco della tradizione classica e della nuova concezione umanistica dell'uomo, senza dimenticare quel rigore delle proporzioni che contraddistingue l'arte di Piero.   

Testo di Giovanna Lazzi

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This work, at Saint Petersburg until 1889, passed to the D’Ancona and then Contini-Bonacossi collections, and from January 1977 the Louvre. Attribution by Giovanni Morelli to Piero della Francesca was confirmed by Roberto Longhi before sale to the Paris museum, and its exportation with other masterpieces was authorised by a special law that raised great debate, as well as later perplexity from the critics. 

In 1451 Piero della Francesca stayed at the refined court of Sigismondo Pandolfo Malatesta, Lord of Rimini from 1432 to 1468, and he portrated the lord in prayer before a Saint Sigismondo in the fresco at Malatesta Temple, whose appearance the panel portrait resumes. The profile stands out against the dark background tones, as clearly as an engraved cameo, with the power of an emperor, in accordance with the medal and coin tradition, probably inspired by the splendid medals by Pisanello in 1445 or Matteo de' Pasti in 1446. The hint of antiquity means the portrait is official, which is not contradicted by the naturalistic rendering of somatic details, fruit of mastery of Flemish painters, especially Rogier van der Weyden. The cutting profile with its hooked nose and thin lips shows that the character’s physiognomic rendering is not idealised; in fact, the very pride of the gaze and erect, firm posture, respecting the Roman medal tradition, bring out his lordly qualities, rigid and despotic, but worthy of respect and honour, a true man of art and government, monumental and statuesque like an ancient bust. The softness of the oil painting sweetens the tones of the subject, and the cap-like hairstyle, fashionable in the courts, worthily frames the face and heightens its features. The magnificent gold brocade texture with its material preciousness stresses the rank and attention to fashion, so important as a mark of status and power. The light, made even stronger by its abstraction from the dark background, effectively forms the different consistencies of the materials and even dwells on the minute description of the fur bordering the gown, moved by a light, almost imperceptible arm gesture, so as to enliven a character otherwise closed in timeless fixedness. These details make the profile an expression of the individual’s uniqueness, in the wake of the classical tradition and the new humanistic conception of man, without forgetting the rigour in proportions that distinguish Piero’s art.   

©Text by Giovanna Lazzi

Piero della Francesca a séjourné en 1451 auprès de la cour raffinée de Sigismondo Pandolfo Malatesta, seigneur de Rimini de 1432 à 1468, et fit le portrait du seigneur priant devant saint Sigismondo dans la fresque du Temple de Malatesta, dont le portrait sur table reprend les similitudes. Contre la sombre tonalité du fond, le profil se découpe nettement tel un camée gravé, avec la puissance dun empereur, selon la tradition des médailles et des monnaies, probablement inspiré par la splendide médaille de Pisanello en 1445 ou par celle de Matteo dePasti en 1446. La suggestion de lantique scelle le caractère officiel du portrait, non contredite par lattentif rendu naturaliste  des détails somatiques, fruits de la familiarité avec les peintres flamands, surtout Rogier van der Weyden. Le profil coupant avec le nez crochu et les lèvres minces démontre que le personnage nest pas idéalisé dans le rendu physionomique, au contraire cest justement la fierté du regard et la posture droite et ferme, dans le respect de la tradition des médailles romaines, qui en exalte les qualités de seigneur, rigide et despotique mais digne de respect et dhonneur, un véritable homme darmes et de gouvernement, monumental et statuaire comme un buste antique. La douceur de la peinture à lhuile adoucit la tonalité de la carnation et la coiffure à calotte, à la mode dans les cours, encadre dignement le visage en exaltant les traits. Le magnifique tissu broché dor, dans sa matière précieuse, souligne le rang et lattention à la mode, tellement importante comme signe de statut et de pouvoir. La lumière, encore plus intense par labstraction du fond obscur, modèle efficacement la consistance différente des matériaux et sattarde jusque dans la minutieuse description de la fourrure qui borde la robe, animée par un léger et presque imperceptible déplacement du bras, donnant vie à un personnage autrement fermé dans une fixité hors du temps. Grâce à ces détails, le profil devient une expression de la singularité de lindividu, dans le sillon de la tradition classique et de la nouvelle conception humaniste de lhomme, sans oublier cette rigueur des proportions qui distingue lart de Piero.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Ritratto di giovanePortrait of a Young Man

Paolo UccelloPaolo Uccello

Già ritenuto di scuola veneziana dal Carotti, il Longhi rivendica il ritratto a Paolo Uccello, vedendovi intenti prospettici e ponendolo cronologicamente verso il 1440. La scritta "El fin fa tutto" alla base è stata giudicata un'aggiunta successiva, in debito con usanze fiamminghe.

Il bel profilo, teso e inciso come con il bulino, si ispira, nelle linee decise e rigide, agli esemplari dell'antichità classica, in particolare alle monete e alle medaglie ed è stato accostato anche a ritratti simili di derivazione masaccesca, già presenti nella perduta sagra della Chiesa del Carmine, distrutta alla fine del '500. Si tratta di una tipologia assai diffusa a Firenze, di solito privilegiando il profilo di sinistra, consono ad una maggiore naturalezza di rappresentazione. La luce illumina i tratti evitando di gettare ombre invasive e deleterie per la lettura e il volto risalta contro il fondo scuro e neutro tale da non turbare la resa fisionomica. L' eleganza del giovane è consona alla moda del tempo, attenta ai dettagli come il colore del cappuccio intonato alla sopravveste di pregiato panno rosato e il bordo di pelliccia al collo della gonnella che denotano l'appartenenza alla classe agiata. L'attenzione si concentra in particolare sulla resa del cappuccio dalle pieghe mosse e perfettamente seguite nel loro avvolgersi intorno al mazzocchio, quel cerchio rigido che costruiva l'ossatura del complicato copricapo. E' noto l'interesse per gli studi prospettici, geometrici e matematici su cui si esercitava Paolo Uccello, che vengono applicati in impressionanti disegni di analisi strutturali dei mazzocchi oltre alle magnifiche prove negli affreschi del Chiostro verde di Santa Maria Novella. Secondo il Vasari, l'artista, probabilmente affiancato da Paolo Toscanelli, «non ebbe altro diletto che d'investigare alcune cose di prospettiva difficili e impossibili». Giovanissimo dal 1407 fino al 1414, assieme a Donatello e altri, fu impegnato nella realizzazione della porta nord del Battistero (1403-1424), come allievo di Lorenzo Ghiberti e quindi, come era comune nelle botteghe, ben conosceva l'arte orafa che pare segnare la base di quella linea netta e precisa dei tratti e l'esercizio del disegno, elementi distintivi dei fiorentini.

Testo di Giovanna Lazzi

Though Carotti considered this portrait to be from the Venetian school, Longhi claimed it was by Paolo Uccello, seeing its perspective intents and placing it chronologically at around 1440. The text "El fin fa tutto" at its base was judged a later addition, owing to Fleming tradition

The resolute, rigid lines of this fine profile, drawn and engraved as if in burin, are inspired by examples from classical antiquity, in particular its coins and medals. The work has also been compared to similar portraits of Masaccio derivation, already present in the lost feast of the Carmine Church, destroyed at the end of '500. This typology was quite common at Florence and usually privileged the profile from the left, making representation more natural. The light illuminates the features, so no intrusive shadows fall and hinder reading, while the face stands out against the dark, neutral background, so as not to disturb the physiognomic rendering. The young man’s elegance corresponds to the fashion of the period, attentive to details such as the colour of the hood matching the surcoat of prize rosé cloth, and the fur edge on the neck of the smock, meaning he belonged to the wealthy classes. Particular attention is paid to rendering the hood, its wavy folds perfectly followed as they wrap around the mazzocchio hat, the rigid circle that formed the framework of the complicated headgear. Paolo Uccello is known for applying his interest in perspective, geometrical and mathematical studies to impressive drawings structurally analysing mazzocchi, as well as magnificent demonstrations in the frescoes of the green cloister of Santa Maria Novella. According to Vasari, the artist, probably helped by Paolo Toscanelli, «knew no other delight than to investigate certain difficult, nay impossible problems of perspective». Young from 1407 to 1414, he was, with Donatello and others, involved in the construction of the North Battistero Doors (1403-1424), as a pupil of Lorenzo Ghiberti; so, as was common in the workshops, he well knew the goldsmith art that seems to mark the basis of that clear, precise line of features and the exercise of drawing, distinctively Flemish elements.

Text by Giovanna Lazzi

Ritratto di ignoto marinaioUnknown Sailor

Antonello da MessinaAntonello da MessinaAntonello de Messine

Il dipinto è considerato il ritratto più antico di Antonello da Messina ed il solo, tra quelli attribuitigli, conservato in Sicilia (Cefalù, Museo della Fondazione Mondralisca), sua terra d’origine. L’opera ritrae forse le incognite sembianze di un fiero e ironico barone del luogo, restituite in termini di acuta verità fisionomica. Il maestro è infatti un eccelso innovatore di tale genere pittorico e si ispira ai modelli della ritrattistica fiamminga di Petrus Christus, conosciuti a Napoli negli anni della formazione presso il pittore locale Colatonio. Nella città partenopea la cultura figurativa d’Oltralpe è mediata anche da maestri provenzali e borgognoni che gravitano intorno alla corte del re Alfonso I d’Aragona. Grazie a questi influssi, Antonello conferisce naturalezza all’immagine, come si coglie osservandone gli occhi vivaci, la barba, le rughe d’espressione. L’effigie è pertanto costruita attraverso una superba indagine analitica e una marcata penetrazione psicologica, impiegando un fascio di luce radente che fa emergere la figura plasticamente – alla stregua di un solido – dal cupo fondo nero. Il ritratto assume così un’inedita monumentalità, frutto di contatti decisivi con Piero della Francesca, “punto di riferimento risolutivo della posizione culturale di Antonello” 

Testo di Ferdiando Bologna

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The painting is considered Antonello da Messina’s oldest portrait and the only one of those attributed to him kept in Sicily (Cefalù, Museo della Fondazione Mondralisca), his land of origin. The work may depict the unknown appearance of a proud, ironic baron on the area, shown in terms of acute physiognomic truth. The master is an outstanding innovator in this pictorial genre and inspired by models from Petrus Christus’ Flemish portraiture, known at Naples in his formation years with the local painter Colatonio. In the Parthenope city, the graphic culture of Oltrape was also mediated by the provincial and Burgundy masters gravitating around the court of King Alfonso I of Aragon. By virtue of these influences, Antonello makes the image natural, as one grasps observing his lively eyes, beard and wrinkles of expression. The picture is, then, formed through superb analytical investigation and marked psychological penetration, using a ray of cutting light that plastically, almost solidly, brings out the figure from the murky black background. The portrait thus takes on a new monumentality, fruit of decisive contact with Piero della Francesca, “a reference point resolving Antonello’s cultural position” 

Text by Ferdiando Bologna 

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Ritratto di prelatoPortrait of a Prelate

Andrea MantegnaAndrea MantegnaAndrea Mantegna

Il dipinto appartiene alle collezioni del Museo nazionale di Capodimonte a Napoli. È realizzato a tempera su una tela di 25,5x18 cm e ritrae il profilo di un imberbe prelato il quale, malgrado la giovanissima età, indossa la porpora cardinalizia e il galero. Sulla base di queste evidenze, dal 1895 prende piede l’ipotesi che l’effigie possa corrispondere al ritratto di Francesco Gonzaga, eletto cardinale a soli diciassette anni nel 1461 e figlio del marchese di Mantova Ludovico III, al quale si deve l’ingaggio nel 1459 di Andrea Mantegna. Il quadretto è concordemente attribuito proprio al sommo pittore della corte gonzaghesca ed è datato al 1461, in prossimità tra l’altro del trasferimento di Mantegna da Padova a Mantova nel 1460, dalla città in cui il maestro si forma, studiando la scultura di Donatello e l’Antico. In proposito si segnala che l’opera, nella sua essenzialità, serba comunque traccia della passione per il recupero dei valori classici al centro della vicenda mantegnesca. L’artista fa infatti ricorso a una risoluzione figurativa di età romana rilanciata nella ritrattistica del Quattrocento, una scelta che rinsalda l’idea di considerare l’opera come una delle prime prove del maestro attinenti a tale genere figurativo. Di lì a poco Mantegna mette infatti a punto una formula di grandiosa modernità, declinata in chiave encomiastico-celebrativa, che ha il suo apice nella celeberrima “Camera degli Sposi” in Palazzo Ducale a Mantova, decorata tra il 1465 e il 1474. Proprio qui è inoltre stato individuato il termine di confronto più stringente per sciogliere l’identità del personaggio della teletta a Capodimonte, nel particolare della scena con l’immagine di Francesco Gonzaga che incontra il padre Ludovico.

Testo di Maria Teresa Tancredi 

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This painting belongs to the collections of Museo nazionale di Capodimonte in Naples. It was made in tempera on a 25,5x18 cm canvas and portrays the profile of a beardless prelate, who, despite his extreme youth, wears the Cardinal’s purple robe and hat. These details supported the hypothesis, as of 1895, that the subject may correspond to the portrait of Francesco Gonzaga, elected Cardinal at just seventeen in 1461 and son of the Marquis of Mantua Ludwig III, responsible for the employment of Andrea Mantegna in 1459. The picture is agreed to be by the great painter of the Gonzaga court and dated 1461, close – among other things – to Mantegna’s move from Padua to Mantua in 1460, from the city in which the master was formed, studying the sculpture of Donatello and Antiquity. In this context it is remarked that this essential picture still holds traces of the passion to return to classical values in the middle of Mantegna’s adventure. The artist turns to figurative resolutions from the Roman age, relaunched in 1400s portraiture, a choice confirming the idea of considering the work as one of the master’s first experiments in this figurative genre. Not long afterwards, Mantegna would focus on a grandiosely modern, praiseworthy and celebratory formula, reaching its peak in the renowned “Bridal Chamber” in the Ducal Palace of Mantua, decorated between 1465 and 1474. Here, too, the most vital connection point was found to solve them identity of the subject in the canvas at Capodimonte, in the detail of the scene with the image of Francesco Gonzaga meeting his father Ludwig.

 Text by Maria Teresa Tancredi 

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Ritratto di Baldassar CastiglionePortrait of Baldassar CastiglionePortrait de Baldassar Castiglione

Raffaello SanzioRaphaelRaphaël拉斐尔-桑齐奥

L’opera è anteriore al 19 aprile 1516, quando in una lettera del Bembo indirizzata al Castiglione viene citata apertamente. Così com'erano stati punti culminanti della ritrattistica del Raffaello fiorentino i Ritratti di Agnolo Doni e di Maddalena sua moglie, così il dipinto del Louvre rappresenta la piena maturazione del Raffaello ritrattista nella fase ormai conclusiva della carriera. Nell’opera sono condensate qualità e fattori di origine veneziana e giorgionesca. Il modo con cui è rappresentato il velluto delle maniche, la straordinaria macchia proiettata dal copricapo sul fondo, la qualità suprema della fisionomia dell’effigiato, la bellezza anche materica della pelliccia e del velluto fanno del ritratto un altro superbo capolavoro raffaellesco, probabilmente uno dei quadri più belli che siano mai stati dipinti.

Commento di Ferdinando Bologna

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This work precedes 19 April 1516, when it was cited in a letter from Bembo to Castiglione. Agnolo Doni and his wife Maddalena represented the culmination of Raphael’s Florentine portraiture, while Baldassare Castiglione marks the full maturation of his portraiture in the concluding phase. The work condenses qualities and factors of Venetian and Giorgionesque origin. The portrayal of velvet on the sleeves, the extraordinary mark the hat throws onto the background, the supreme quality of the subject’s physiognomy, the - not least material - beauty of the fur and velvet make this portrait another Raphael masterpiece, probably one of the most beautiful pictures ever painted.

A comment by Ferdinando Bologna

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Ce portrait est antérieur au 19 avril 1516, date à laquelle dans une lettre de Bembo adressée à Castiglione il est clairement mentionné. Tout comme les portraits dAgnolo Doni et de son épouse Maddalena avaient été le point culminant de la période florentine de Raphaël, le tableau du Louvre représente la maturité complète de Raphaël comme portraitiste à la fin de sa carrière. L’œuvre contient des qualités et des éléments dorigine vénitienne et en particulier giorgionesque. La façon dont le velours des manches est représenté, l’étrange tache projetée par la coiffure sur le fond, la beauté de la physionomie de lhomme représenté, la qualité de la fourrure et du velours, dans leur matérialité même, font de ce portrait un autre superbe chef-d’œuvre de Raphaël, probablement l’un des plus beaux tableaux jamais réalisés.  

Commentaire de Ferdinando Bologna

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Ritratto di Laura BattiferriPortrait of Laura BattiferriPortrait de Laura Battiferri

Agnolo BronzinoAgnolo BronzinoAgnolo Bronzino

Il dipinto, che fa parte della raccolta lasciata in eredità al Comune di Firenze da Charles Loeser, rappresenta Laura, nata nel 1523, figlia naturale ma legittimata, del nobile urbinate Giovanni Antonio Battiferri, sposa di Bartolomeo Ammannati. Colta, amica di artisti e letterati, pubblicò sonetti e madrigali e raggiunse una tale fama che, unica donna, fu accolta nell'Accademia degli Intronati di Siena, con il significativo nome "Sgraziata". Con Agnolo Bronzino ebbe un rapporto amichevole e solido, rinsaldato dal comune amore per la poesia. Il pittore la conosceva bene e nel bellissimo ritratto riesce a coglierne la vera anima. La posa di profilo, in forte risalto "medaglistico all'antica", conferisce quell'austera dignità che rispecchia il carattere della dama, sottolineato dall'enfasi sul libro aperto tra le belle mani affusolate, un "petrarchino" dove nitidamente si leggono i sonetti XXIV e CCXL del Canzoniere, mai pubblicati accanto, in cui si esprime l'amore per Laura, l'omonima della Battiferri, in una colta allusione all'abilità poetica dell'effigiata. Inoltre l'insistita attenzione per il naso adunco che cita quello di Dante, evidenziato dal collo allungato, ricorda come la poetessa venne paragonata a Dante e Petrarca nei sonetti a lei dedicati sia da Benedetto Varchi che dal Bronzino stesso, che la apostrofò come “tutta dentro di ferro, e fuor di ghiaccio” sia giocando sul suo cognome che osservando come questo algido aspetto nascondesse l’alta levatura morale e un'intensa sensibilità e forza d'animo.

Il Bronzino tende a rappresentare la bellezza, e pur non travisando l'aspetto fisico, riesce a nobilitare anche i difetti, esaltando nobiltà dei tratti, la ricchezza delle vesti, il fascino di uno sfondo; solo nel caso della Battiferri la resa è apparentemente impietosa. La bellezza era un tema molto dibattuto nel Cinquecento, protagonista di tanti trattati. Agnolo Firenzuola nel Celso o la bellezza delle donne, scritto nel 1541 e pubblicato nel 1548 ricerca un canone assoluto dell'avvenenza femminile, con una minuziosa analisi di tutte le parti del corpo, particolarmente del volto e si sofferma anche sul naso «il quale è della maggiore importanza […], chi non ha il naso nella total perfezione, è impossibile che apparisca bella di profilo… vuol piuttosto pendere nel picciolo e nello affilato […], non aquilino, che in una donna comunemente non piace». Proprio questo è il dettaglio che maggiormente si nota in quel volto ossuto, con la pelle sottile e levigata come cera, la testa piccola su un collo troppo lungo, che si staglia contro uno sfondo completamente neutro, in una astrattezza totale, che non concede distrazioni. Le caratteristiche del ritratto furono concordate con Laura che sicuramente le aveva approvate se osserva «della mia propria novella imago / Della tua dotta man lavoro altero...». Così voleva apparire, un'intellettuale appagata dalla sua poesia, fiera di essere artefice di versi come quelli che mostra nelle bellissime mani aristocratiche, consapevolmente "Sgraziata", cioè priva di quella grazia che il sentire comune identifica con la bellezza, ma che lei rivendica come attributo di unicità. Lei, moglie di un artista, che aveva sposato dopo breve vedovanza, verso il quale ostenta una sincera devozione mostrando l'anello della promessa nuziale, è tuttavia attenta all'eleganza, pur nella sua sobrietà. Se una semplice collana d’oro appare la sola concessione al lusso, tuttavia l'abito obbedisce ai dettami della moda. Le maniche "diverse" in contrasto con le tonalità scure della veste e con il vezzo dei tagli, non contraddicono la severa eleganza dell'insieme mentre le spalle sono evidenziate dagli spallini rigonfi e dall'ampia scollatura. Davvero particolare è il risalto dato alla camicia bianca, con l'incresparsi fittissimo delle piegoline che si raccolgono nel raffinato ricamo del colletto aperto a corolla, sobrio ma elegantissimo e atto a mettere in risalto la testa, dove il piccolo balzo si alza come un'aureola sulla raccolta acconciatura, evidenziando la fronte, che così risulta più alta e bombata, quasi ad esaltare l'intelligenza. Il velo, che ancora sottolinea il ruolo di sposa, si muove leggero e proprio il bianco abbagliante della camicia e della trasparenza del velo illumina quel volto così intenso e particolare. In assenza di una ambientazione è proprio la volumetria dell'abito, con tutti i suoi particolari, a creare la monumentale spazialità della figura.   

Nella sua apparente freddezza e nel suo splendido isolamento la donna trasmette l'orgoglio della sua virtù di sposa e dell'acutezza della sua mente, vessilli da esibire molto più importanti e duraturi di una fugace bellezza esteriore.

 Testo di Giovanna Lazzi 

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The picture is part of the collection bequeathed to the Municipality of Florence by Charles Loeser and portrays Laura, born in 1523, natural but legitimate daughter of the Urbino nobleman Giovanni Antonio Battiferri, and Bartolomeo Ammannati's bride. This cultured friend of artists and literary men published sonnets and madrigals and became so famous that she was the only woman welcomed into the Accademia degli Intronati of Siena, significantly named "Sgraziata," “Graceless”. She enjoyed a friendly, solid relationship with Agnolo Bronzino, sealed by their common love of poetry. The painter knew her well and captures her true spirit in this beautiful portrait. The profile pose, in powerful "antique medal" relief, endows the austere dignity reflecting the lady's character, underlined by the emphasis on the open book in her beautiful, slender hands, a "Petrarchino" in which one clearly reads the never published sonnets XXIV and CCXL of the Canzoniere, expressing love for Laura, Battiferri's namesake, in a cultured allusion to the subject's poetic abilities. Also, the insistent attention on the hooked nose, stressed by the elongated neck, refers to Dante and recalls that the poetess was compared to Dante and Petrarch in the sonnets dedicated to her by both Benedetto Varchi and Bronzino himself, who apostrophised her as “all iron within, ice without”, playing on her surname and observing how this cold look hides a high moral standing and intense spiritual force and sensitivity.

Bronzino tends to show her beauty and, without neglecting her physical appearance, succeeds in making even her defects noble, exalting the nobility of features, richness of clothing and the draw of the background: but in Battiferri's case, the rendering seems ruthless. Beauty was a highly contentious topic in the 1500s and the subject of many tracts. In Celsus or Women's Beauty, written in 1541 and published in 1548, Agnolo Firenzuola seeks an absolute rule for female charm, analysing in minute detail each body part, especially in the face, and also dwelling on the nose, «which is of the utmost importance […], one without a fully perfect nose cannot look beautiful in profile… It should rather hang like a stalk or an edge […], not hooked, which is not pleasing in a common woman». It is this very detail that is most observed in that bony face, its skin soft and smooth as wax, the small head on an overly long neck, standing out against a completely neutral background, in total abstractness permitting no distraction. The portrait features were agreed upon with Laura, who must have approved of it, observing «my own new image / From the elevated work by your educated hand...». This is how she wished to appear, an intellectual satisfied by her poetry, proud to be the creator of verses like those she displays in her beautiful aristocratic hands, aware of being "Sgraziata", that is, lacking that grace which common feeling identifies as beauty but she reclaims as attribute of uniqueness. Wife of a artist, whom she married after a brief widowhood, to whom she shows sincere devotion by displaying the ring for the imminent wedding, she is still attentive to elegance, even in her sobriety. If a simple gold necklace is the sole concession to luxury, the clothing still obeys the dictates of fashion. The "different" sleeves contrast the dark tones of the dress and the cut areas but do not contradict the severe overall elegance, while the shoulders are emphasised by the padded shoulders and broad neckline. Particular weight is given to the white blouse, with the thick, crinkled folds, gathered in the refined embroidery of the open Cercine neck, sobre but elegant, designed to highlight the head, where the small shock jumps out like a halo on the gathered hair, stressing the forehead so it looks higher and more convex, almost as if to accentuate her intelligence. The veil, a further reference to her role of bride, moves slightly and the dazzling white of the blouse and the transparency of the veil this unique, very intense countenance. In the absence of a setting, it is the very volumes of the clothes, with all their details, that create the figure's monumental spatiality.   

In her apparent coldness and splendid isolation, the woman conveys pride in her bridal virtue and mental shrewdness, far more important, lasting attributes to display than fleeting external beauty.

 Text by Giovanna Lazzi

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Le tableau représente Laura, née en 1523, fille naturelle mais reconnue du noble dUrbino Giovanni Antonio Battiferri, épouse de Bartolomeo Ammannati. Cultivée, amie dartistes et dhommes de lettres, elle publia des sonnets et des madrigaux et connut une telle renommée que ce fut la seule femme à entrer à lAcadémie des Intronati de Sienne, avec le nom significatif de « Disgracieuse ». Avec Agnolo Bronzino elle eut un rapport amical et solide, renforcé par leur amour commun pour la poésie. Le peintre la connaissait bien et dans son très beau portrait il réussit à en saisir l’âme véritable. La pose de profil, mettant fortement en valeur le caractère « médaille à lancienne », confère à laustère dignité qui reflète le caractère de la dame, soulignée par la grandiloquence sur le livre ouvert entre les belles mains fuselées, un « petit Pétrarque » où lon peut lire de façon nette les sonnets XXIV et CCXL du Chansonnier, où est exprimé lamour pour Laure, homonyme de Battiferri, dans une allusion recherchée à lhabileté poétique de la dame en effigie. Outre lattention insistante pour le nez recourbé qui rappelle celui de Dante, mis en valeur par le cou allongé, le peintre rappelle la manière dont la poétesse fut comparée à Dante et Pétrarque dans les sonnets qui lui furent consacrés aussi tant par Benedetto Varchi que par Bronzino lui-même, qui lapostropha comme « toute de fer à lintérieur, et dehors de glace », jouant sur son nom en observant comment cet aspect froid cachait un haut degré d’élévation morale ainsi qu'une sensibilité et une force d’âme intenses. Les caractéristiques du portrait furent fixées avec Laure qui les avait certainement approuvées sil observait que « de ma propre nouvelle image / de ta docte main je travaille altier...». Cest ainsi quelle voulait apparaître, une intellectuelle apaisée par sa poésie, fière d’être lartisan de vers tels que ceux quelle montre entre ses belles mains aristocratiques, consciemment « Disgracieuse », cest-à-dire dénuée de cette grâce que le sens commun identifie avec la beauté, mais quelle revendique comme un attribut unique.

Texte de Giovanna Lazzi 

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San Gerolamo e il leoneSaint Jerome and the Lion

ColantonioColantonio

La tavola, che costituiva la parte centrale di un grande retablo a due piani con pilastrini popolati dalle figure dei beati francescani, oggi dispersi fra varie collezioni private, destinata all’altare della chiesa di S. Lorenzo Maggiore, è attribuita a Colantonio, che operò a Napoli tra il 1440 e il 1470 circa. Era quella la fervida stagione di regno dell’ultimo sovrano angioino Renato (1438-42) e del primo sovrano aragonese Alfonso il Magnanimo (1442-58), quel periodo fecondo in cui a Napoli il realismo analitico, l'attenzione agli effetti ottici, l’imitazione fedele della natura propri della cultura fiamminga si incontrano con l'influsso catalano, in un clima di fecondi scambi culturali, ma anche commerciali e politici, tra il Nord Europa e l’Italia del Sud. Nell'opera sono, infatti, evidenti l’impianto di matrice franco-borgognona ispirata a  Jan van Eyck, ma anche ricordi del provenzale Barthélemy d’Eyck, che lavorò presso la corte aragonese fra il 1438 e il 1442. La Legenda Aurea, di Jacopo da Varazze, narra la storia del leone ferito curato da San Girolamo, nata come episodio della vita dell'anacoreta San Gerasimo, e con affinità con quella del romano Androclo. La scena si uniforma alla tradizionale rappresentazione del santo o del letterato nello studio, l'ambiente definito nei minimi dettagli che diventa un topos nella pittura e nella miniatura dell'epoca e fa da sfondo a studiosi laici e religiosi. La stanza è un luogo di lavoro, come dimostra il disordine apparente dei volumi e degli oggetti che servono allo studio e alla composizione dell'opera letteraria. La figura del santo, ammantata nei pesanti abiti francescani per far riconoscere subito l'ordine a cui la tavola era destinata, degna di rispetto e onore per la barba canuta e il tranquillo atteggiamento pur nella strana incombenza a cui sta attendendo, viene però connotata anche dal tradizionale attributo del cappello cardinalizio poggiato su un tavolo, ma ben evidente, a ricordo del ruolo all'interno della chiesa. La parentela con l'analogo soggetto di Jan van Eyck. (1442, Detroit, Institute of Arts) è evidente nella cura dei dettagli e dell'ambiente, anche se l'interpretazione del rapporto tra Ambrogio e l'animale, mansueto e docile come un cagnolone, che porge la zampa per farsi togliere la spina, è quotidiana e domestica, lontana dall'assorta concentrazione e dalla nobiltà d'aspetto del santo, sia nella redazione fiamminga che nell'ieratica versione di Antonello da Messina (Londra, National Gallery) di cui, peraltro, Colantonio era stato maestro, dove l'elaborata struttura architettonica, rigorosamente prospettica, si unisce al minuzioso  realismo e ad una complessa trama di rimandi simbolici.

Testo di Giovanna Lazzi

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This panel constituted the central part of a large, two-level altarpiece with pillars populated by figures of Franciscan monks, designed for the altar of the Church of S. Lorenzo Maggiore and now spread throughout various private collections. It is attributed to Colantonio, active in Naples between circa 1440 1470, the fervid season of the reign of the final Angevin sovereign Renato (1438-42) and the first Aragonese sovereign Alfonso the Magnanimous (1442-58). It was a prolific period for Naples as the analytic realism, attention to optical effects and faithful imitation of nature of Flemish culture encountered the Catalan influence, in a climate of productive cultural, but also commercial and political exchange between North Europe and South Italy. Indeed, the work displays the structure of the Franco-Burgundian matrix, inspired by Jan van Eyck, but also recalls the Provencal Barthélemy d’Eyck, who worked at the Aragonese court between 1438 and 1442. The Golden Legend, by Jacobus de Voragine, narrates the story of the wounded lion tended by Saint Jerome, starting as an episode in the life of the hermit Saint Gerasimus, with affinities to that of the Roman Androcles. The scene is coherent with the traditional portrayal of the saint or literary man in his studio, the setting defined in the finest detail so as to become a topos in painting and miniatures of the period and act as a background to lay and religious scholars. The room is a place of work, as is shown by the apparent disorder of the volumes and objects needed for study and the composition of the literary work. The figure of the saint is wrapped in heavy Franciscan drapes to make immediately clear the order the panel was designed for, worthy of honour and respect due to hoary beard and calm attitude, despite the strange task he is attending to; but he is also characterised by the traditional attribute of the Cardinal’s hat, placed on a table yet very evident, to recall his role within the church. Relationship with the analogous subject by Jan van Eyck (1442, Detroit, Institute of Arts) is clear in the care for details and environment, although the interpretation of the link between Ambrose and the animal, tame and sweet as a puppy, holding out its paw so the thorn can be removed, is everyday, domestic and far from the saint’s absorbed concentration and noble appearance in both the Flemish take and the hieratic version by Antonello da Messina (London, National Gallery), which Colantonio had however mastered, where the elaborate, rigorously perspectival structure joins meticulous realism and a complex weave of symbolical references.

Text by Giovanna Lazzi

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San GerolamoSaint Jerome

Leonardo da VinciLeonardoLéonard de Vinci

Il San Gerolamo, menzionato nel testamento della pittrice Angelica Kaufmann (17 giugno 1803), entra in Pinacoteca Vaticana per volere di Pio IX, sostenitore, tra il 1846 e il 1857, dell’acquisto, forse, presso gli eredi del Cardinal Fesch, zio di Napoleone. L’incompiutezza di questo olio su tavola, lasciato allo stato di abbozzo, consente di cogliere e apprezzare bene le superbe qualità di Leonardo disegnatore. Inquadrata da un’irta e scabra parete rocciosa, l’immagine di san Gerolamo, vertiginoso esempio dell’eccellenza vinciana nell’indagine anatomica, sorprende per la posa tesa e avvitata in un scorcio audacissimo. Un’analoga figura ricompare nel frontespizio delle Antiquarie prospettiche romane (1497 circa), dedicato proprio al maestro toscano e ascritto all’artista bergamasco Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino. 

Testo di Maria Teresa Tancredi

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APPROFONDIMENTO

San Gerolamo è raffigurato penitente nel deserto, secondo una iconografia collaudata ma antitetica all'altra assai diffusa che lo rappresenta nei solenni parati cardinalizi. Appena coperto da un mantello stracciato, è inginocchiato in una landa deserta; nella mano destra mostra la pietra per percuotersi il petto in segno di penitenza e con la sinistra indica se stesso in atto di umiltà. Il volto è rivolto verso un crocifisso non ancora dipinto, di cui si scorge però l'asta, nello sfondo di un paesaggio appena abbozzato nel quale è stata intravista la facciata di Santa Maria Novella. La figura si staglia con potente suggestione, plasmata dalla luce contro lo sfondo scuro della cortina di rocce aguzze che torneranno nella prima versione della Vergine delle Rocce. Davanti a lui è accovacciato un leone appena abbozzato, in ricordo di una leggenda che narrava come l’animale, liberato di una spina dal Santo, gli fosse divenuto fedele amico. Il corpo scattante della fiera con le fauci ruggenti forma un semicerchio con l'eremita che poi si chiude verso il paesaggio in cui l'uomo e l'animale si inseriscono in simbiosi.

La scelta della particolare iconografia consente all'artista di indagare l'anatomia di un corpo ridotto allo stremo dove ossa, nervi e muscoli possono costituire un ottimo esercizio di ricerca. Ma colpisce soprattutto la testa, scavata e ossuta con quella torsione e quell'espressione di ascetica sofferenza ma anche di estasi mistica. 

Testo di Giovanna Lazzi

 

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The painting, mentioned in the testament of the painter Angelica Kauffmann (17 June 1803), reaches the Pinacoteca Vaticana at the desire of Pius IX, supporter, between 1846 and 1857, of the acquisition, perhaps, at the heirs of Cardinal Fesch, uncle of Napoleon. The incompleteness of this oil on wood, left at the draft state, permits grasping and good appreciation of the superb quality of Leonardo the designer. Framed by a rough, rugged rocky wall, the image of Saint Jerome, a vertiginous example of Vincean excellence in anatomical research, surprises with its tense pose screwed into a very audacious glimpse. An analogous figure reappears in the frontispiece to Antique Roman Perspectives (circa 1497), dedicated to the Tuscan master himself and recently attributed to the Bergamo artist Bartolomeo Suardi, called the Bramantine. 

Text by Maria Teresa Tancredi

 

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FIND OUT MORE

Saint Jerome, is depicted penitent in the desert, in accordance with a tradition that is common, which portrays him as dressed-up in the solemn cardinal parades. Barely covered by a ragged cloak, he knells in a deserted land; his right hand displays the stone to beat his chest as a sign of penitence, while his right points to himself in an act of humility. His face turns towards a crucifix that is not yet painted, though its staff can be seen, in the background of a hardly sketched landscape in which the façade of Santa Maria Novella has been espied. The figure stands out in powerful relief, formed by the light against the dark background of the screen of sharp rocks that would return in the first version of the Virgin of the Rocks (1483-1486). A lion, only just sketched, crouches in front of him, in memory of a legend recounting how the Saint removed a thorn from the animal so it became his faithful friend. The beast’s agile body with its roaring jaw forms a semicircle with the hermit, which then closes towards the landscape in which the man and the animal are placed symbiotically. The choice of this peculiar iconography allows the artist to investigate the anatomy of a body ripped to the core, its bones, nerves and muscles permitting an excellent exercise in research. But the most striking elements are the head, carved, bony, twisted, communicating ascetic suffering but also mystical ecstasy. 

Text by Giovanna Lazzi

 

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Borgherini col maestro-astrologoGiovanni Borgherini and his Tutor

GiorgioneGiorgione

L’opera, databile al 1505 circa, è conservata alla National Gallery of Art di Washington D.C., dove giunge negli anni Sessanta del Novecento dopo una serie di vendite perpetratesi dal 1923, quando il dipinto risulta a Milano. Si tratta di un doppio ritratto identificabile con l’effigie ammirata da Giorgio Vasari nella dimora veneziana del fiorentino Giovanni Borgherini e menzionata nella biografia dedicata a Giorgione (Zorzo, Zorzi) da Castelfranco (Castelfranco Veneto, 1477/78-Venezia 1510) nella seconda edizione delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori […] ("il ritratto d'esso Giovanni quando era giovane in Venezia, e nel medesimo quadro il maestro che lo guidava"). Il quadro è un’efficace testimonianza delle innovazioni apportate, sul piano iconografico, alla pittura veneziana di inizio Cinquecento dall’artista. Sono infatti ascrivibili al suo pennello opere di soggetto profano che si attestano come espressioni di riferimenti culturali eterogenei, allegorici ed esoterici, spesso dall’enigmatico significato. A riprova delle difficoltà legate alla decifrazione di alcuni soggetti affrontati da Giorgione concorrono le ipotesi formulate sull’identità delle figure qui illustrate. Si suppone che il giovane Giovanni, con in pugno strumenti allusivi alla pittura e alla scrittura, accolga gli ammonimenti di un maestro astrologo – forse l’umanista veneziano Trifon Gabriele –. L’ignoto personaggio mostra infatti la sfera armillare, conosciuta anche come astrolabio sferico, indicando un cartiglio che reca il monito: “Non vale l’ingegno, se varranno i fatti” (NON VALET. / INGENIVM.NISI / FACTA/ VALEBVNT). Nell’insieme l’opera, sia pur molto restaurata, restituisce le sorprendenti capacità di Giorgione di imprimere sentimenti alle figure, indagarne le componenti psicologiche e farne emergere “la vivezza dello spirito” (Vasari 1550). Malgrado la sua breve parabola esistenziale, di cui si sa poco, interrotta dalla peste che devasta Venezia nel 1510, l’artista è però anche artefice di un rinnovamento epocale della cultura pittorica veneziana del primo Cinquecento. Giorgione formula un linguaggio orientato all’assenza di disegno, privilegiando l’utilizzo di luce e colore, sull’esempio di Giovanni Bellini, suo probabile maestro e protagonista della stagione del Rinascimento veneziano. In questo modo perfeziona la tecnica della pittura tonale che è predominante nell’universo figurativo veneziano del tempo e che è prontamente adottata dal suo sommo allievo Tiziano. 

Testo di MariaTeresa Tancredi  

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The work can be dated around 1505 and is kept at the National Gallery of Art, Washington D.C., arriving there in the 1970s after a series of sales ever since 1923, when the picture was reported at Milan. This double portrait can be identified with the effigy admired by Giorgio Vasari in the Florentine Giovanni Borgherini’s Venetian dwelling and mentioned in the biography dedicated to Giorgione (Zorzo, Zorzi) by Castelfranco (Castelfranco Veneto, 1477/78-Venice 1510) in the second edition of Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori […] ("the portrait of Giovanni himself when he was young in Venice and in the same picture the master guiding him"). The work bears effective witness to the iconographic innovations the artist brought to the Venetian painting of the early 1500s. Pieces with profane subjects can be ascribed to his brush, confirming expressions of heterogenic, allegorical or esoteric cultural references, often enigmatic in meaning. Difficulties in deciphering certain subjects faced by Giorgone correspond to the hypotheses formulated on the identity of the figures illustrates here. The young Giovanni, grasping tools alluding to painting and writing, is said to have heard the warnings of a young astrologer – perhaps the Venetian humanist Trifon Gabriele. The unknown subject does display the armillary sphere, also known as the spherical astrolabe, indicating a parchment bearing the warning: “Discussion is useless against the facts” (NON VALET. / INGENIVM.NISI / FACTA/ VALEBVNT). Overall the painting, although highly restored, demonstrates Giorgione’s surprising ability to impress feeling onto the figures, investigate their psychological components and draw out “the liveliness of spirit” (Vasari 1550). Despite its brief existential parabola, which little is known about and the plague devastating Venice in 150 interrupted, the artist creates epochal renewal in the painting culture of early 1500s Venice. Giorgione formulates a language approaching the absence of pictures, privileging the use of light and colours, following the example of Giovanni Bellini, his likely master and a key figure in the Venetian period of the Renaissance. In this way he perfects the technique of tonal painting that is predominant in the Venetian graphic universe of the time, promptly adopted by his greatest student Titian

 Text by MariaTeresa Tancredi  

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Tre filosofiThree Philosophers

GiorgioneGiorgione

La critica si è arrovellata a lungo nel tentativo di chiarire il significato dell'enigmatico dipinto di Giorgione denominato "I tre filosofi" per la nota di Marcantonio Michiel (Notizia d'opere del disegno, 1525) la «tela a oglio delli tre philosophi nel paese, due ritti et uno sentado che contempla i raggi solari», eseguita per Taddeo Contarini. L'identità dei tre personaggi così diversi non è ancora risolta: il loro aspetto suggerisce le tre età dell'uomo; giovinezza, maturità e vecchiaia, gli abiti indicano oriente e occidente, l'atmosfera di ricordo leonardesco e le sapienti tonalità cromatiche così "venete" creano una indimenticabile suggestione. Una delle ipotesi di lettura più ricorrenti è quella che si tratti dei tre Magi che studiano il cielo alla ricerca di segni della venuta del Messia in un contesto fitto di simboli cristologici, come l'edera e il fico allusivi al legno della Croce, la sorgente d'acqua segno del battesimo. Questa ipotesi viene ripresa da Wilde nel 1932, da Salvatore Settis nel 1978, da Gombrich nel 1986 e da altri ancora. Altre ipotesi suggeriscono tre stadi culturali: l'umanesimo rinascimentale, la filosofia araba, il pensiero medievale, o identificano tre filosofi amici di Giorgione. Di recente è stato proposto un rapporto con il trattatello astrologico Orthopasca di Pellegrino Prisciani, il "sovrintendente" del ciclo dei mesi di Schifanoia, per le illustrazioni, che traggono spunto dal Talmud, con tre astrologi, due in piedi e uno seduto, intenti a osservare le fasi lunari, per riconoscere la data della Pasqua e l’anno nuovo, con tutto il peso di indicazioni di rinnovamento morale e culturale.

APPROFONDIMENTO

Il paesaggio, con la cupa caverna in primo piano e la montagna azzurra sullo sfondo, incornicia i tre personaggi creando cesure psicologiche tra i protagonisti con un indubbio valore allegorico. Proprio il significato della scena è l'elemento più sfuggente del dipinto, volutamente criptico, forse anche per l'epoca, così colta ma pericolosamente rivolta ad interessi non sempre ben accettati soprattutto dalle autorità ecclesiastiche. L'astronomia e l'alchimia, peraltro riconosciute tra gli interessi del Contarini, sono rintracciabili nei calcoli astronomici, sovrastati dalla scritta letta come celum più plausibilmente eclissi, in allusione all'eclissi lunare totale del 29 febbraio / 1º marzo 1504, che avrebbe dovuto segnare, secondo gli astrologi, la discesa dell'Anticristo, riconoscibile nel giovane rivolto verso la caverna, dotato di un alto copricapo nelle radiografie che hanno svelato anche un diadema sacerdotale sulla testa del vecchio, identificandolo quindi in Mosè, mentre il terzo personaggio vestito all'orientale sarebbe Maometto (secondo Augusto Gentili). Nel foglio dell’ebreo si nota un sole raggiato al tramonto, con i numeri dall’uno al sette, l’Oroscopo delle Religioni, un percorso ciclico attraverso sette età, collegate ai pianeti e alle grandi religioni, con un progressivo decadimento fino alla catastrofe seguito dalla rigenerazione. Sebastiano del Piombo terminando la tela lasciata incompiuta, avrebbe eliminato gli elementi pericolosi, confondendo però le identificazioni. Nel 1636 la tela si trovava presso Bartolomeo della Nave, ancora a Venezia, venduta nel 1638 a Hamilton, passò nel 1649 a Leopoldo Guglielmo d'Austria.

Testo di Giovanna Lazzi

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Critics have long struggled to explain the meaning of the enigmatic painting by Giorgione, called "The Three Philosophers" because of the note by Marcantonio Michiel (Notizia d'opere del disegno, 1525): the «oil on canvas of three philosophers in the country, two standing and one sitting, contemplating the sun’s sun rays», made for Taddeo Contarini. The identity of the three such different subjects is still not clear: the appearance suggests the three ages of man - youth, maturity and old age - while the clothes indicate East and West, and the Leonardo-tinged atmosphere and wise, highly “Venetian” chromatic tones draw one in unforgettably. One of the most recurring hypotheses for interpretation is that they are the three Magi studying the sky in search of signs of the coming of the Messiah in a context dense in Christological symbols, such as the ivy and fig, alluding to the wood of the Cross, and the spring of water, a sign of Baptism. This supposition is taken up by Wilde in 1932, Salvatore Settis in 1978, Gombrich in 1986 and others besides. Other hypotheses suggest three cultural stages - Renaissance humanism, Arabian philosophy and Medieval thinking - or identify the three philosophers as friends of Giorgione. Recently a relationship has been put forward to Orthopasca, the astrological treatise of Pellegrino Prisciani, the "Superintendent" of the cycle of months Schifanoia, due to the illustrations, which are inspired by the Talmud, with three astrologers, two standing and one sitting, intent on observing the phases of the moon, to recognise the date of Easter and the new years, with the full weight of indications of moral and cultural renewal.

 

IN DEPTH

The landscape, with the dark cavern in the foreground and the blue mountain behind, frames the three subjects, creating psychological breaks between the main characters with undoubted allegorical value. The very meaning of the scene is the most elusive element in the painting, which is deliberately cryptic, maybe also due to the period that was so cultured, yet dangerously bent on interests which were not always accepted, especially by the ecclesiastical authorities. Astronomy and alchemy, recognised as among Contarini interests, can be traced in the astronomical calculations, surmounted by the text read as celum, most plausibly eclipses, in allusion to complete lunar eclipse of 29 February / 1 March 1504, which would for astrologers mark the descent of the Antichrist, who can be recognised in the youth turned towards the cavern, endowed with high headgear trought X-rays, which also revealed a priest’s diadem on the head of the old man, so as to identify him as Moses, while the third, Eastern-dressed character is Muhammad (according to Augusto Gentili). In the Jewish man’s sheet one notes a beamed sun at dusk, with the numbers one to seven, the Horoscope of Religions, a cyclic path through seven ages, linked to the planets and great religions, with progressive decline until the catastrophe, followed by regeneration. Completing the canvas, which was left incomplete, Sebastiano del Piombo would eliminate the dangerous elements, but confuse the identifications. In 1636 the work was with Bartolomeo della Nave, still at Venice; sold in 1638 to Hamilton, it went on in 1649 to Leopold Wilhelm of Austria.

Text by Giovanna Lazzi

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Giuditta e la sua ancellaJudith and her MaidJudith et sa servante

Artemisia GentileschiArtemisia GentileschiArtemisia Gentileschi

Il noto episodio biblico dell’uccisione del generale assiro Oloferne da parte di Giuditta che lo sedusse, lo ubriacò e infine lo decapitò, salvando così la sua città Betulia, è soggetto amatissimo, per le sue molteplici valenze, su cui torna la stessa Artemisia che qui rappresenta però il momento successivo all’omicidio. L’azione è compiuta, Giuditta brandisce ancora la spada, mentre la serva porta la cesta con la testa insanguinata del generale. La tensione è palpabile nel gioco degli sguardi delle due donne, in fuga, esaltate dall'impresa compiuta ma non ancora al sicuro. È un attimo fermato dal pennello con l'intensità di un fotogramma, che riesce a cogliere le personalità delle protagoniste nei due profili avvicinati ma contrapposti, il volto intenso scolpito dalla luce di Giuditta, il cui ruolo primario è sottolineato anche dalla ricchezza delle vesti, quel tocco seducente del ricciolo scomposto che sfugge all'elaborata acconciatura. Di contro alla superba bellezza dell'eroina, esaltata dalla prorompente scollatura e dai ricchi decori, manifesta arma di seduzione, il ruolo secondario dell'ancella è sottolineato dalla visione tergale e dai dettagli dell'abito semplice e domestico con l'asciugatoio avvolto intorno alla testa. Ma i dettagli servono anche a delineare il carattere, soprattutto la fermezza e il coraggio di Giuditta. L’influenza di Caravaggio è manifesta nel fondale cupo e nel taglio della luce che colpisce le figure, una luce che tuttavia si fa avvolgente a cercare i dettagli nei gioielli, nell’acconciatura e persino nell’elsa della spada con una raffinatezza tutta femminile.

Misterioso rimane il committente dell’opera, che viene annoverata per la prima volta nel 1637 in un inventario di Palazzo Pitti, in cui veniva descritta come: “Il dipinto era definito come “un quadro su tela entro Juditvi con la sua compagna con la testa di Oloferne in una paniera di mano dell’Artemisia”. Sulla scia di queste tracce, l’opera potrebbe essere datata tra 1614 e il 1620, ovvero al periodo in cui Artemisia si trovava a Firenze. 

Testo di Giovanna Lazzi 

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The famed Biblical episode of the Assyrian General Holoferenes and Judith who seduced, inebriated and finally decapitated him so as to save her city Betulia is a much loved subject due to its multiple meanings, centred on Artemisia herself, though here she is at the moment following the murder. The deed is done; Judith still brandishes the sword, while the handmaid carries the basket with the general’s bloody head. The tension is palpable in the play of the two women’s gazes, fleeing, exhilarated by the accomplishment but not yet safe. The moment is captured by the brush with the intensity of a frame, catching the subjects’ personalities in the two close but overlapping profiles, the intense, light-sculpted face of Judith, whose primary role is also underlined by the richness of her clothes, that seductive touch of the ruffled curl escaping from the elaborate hairstyle. Against the haughty beauty of the heroine, heightened by the bursting neckline and rich decorations, the manifest arm of seduction, the handmaid’s secondary role is also emphasised by the rear vision and details of the simple, domestic dress with the towel wrapped round her head. But the details also serve to delineate character, especially Judith’s resolution and courage. Caravaggio’s influence is clear from the dark background and in the shaft of light striking the figures, a light that absorbs in seeking details in the jewels, hairstyle and even sword hilt with wholly feminine elegance.

The commissioner of the work remains a mystery, first listed in 1637 in a Palazzo Pitti inventory, describing it as: “The painting was defined as “a canvas picture of Judith with her companion with Holofernes’ head in a basket of Artemisia’s hand”. Following these traces, the work may be dated between 1614 and 1620, the period in which Artemisia was staying in Florence. 

Text by Giovanna Lazzi

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L’épisode biblique bien connu du meurtre du général assyrien Holopherne de la main de Judith, qui le séduisit, lenivra et pour finir le décapita, sauvant ainsi Béthulie, sa ville, est un sujet très aimé, pour ses multiples valences. Laction est accomplie, Judith brandit encore l’épée, tandis que la servante porte la corbeille contenant la tête ensanglantée du général. La tension est palpable dans le jeu des regards entre les deux femmes, en fuite, exaltées par lentreprise accomplie mais pas encore en sécurité. Le visage intense de Judith sculpté par la lumière, dont le rôle principal se trouve aussi souligné par la richesse des vêtements, saccompagne dune touche de séduction avec la boucle qui s’échappe de sa coiffure élaborée. A lopposé de la beauté superbe de lhéroïne, exaltée par lexubérance du décolleté et la richesse des ornements, le rôle secondaire de la servante est souligné par la pose dos tourné et par les détails de la robe, simple et domestique, ainsi que la serviette enroulée autour de la tête. Linfluence du Caravage est manifeste dans larrière-fond sombre et dans laspect de la lumière qui frappe les personnages, une lumière qui se fait cependant enveloppante jusqu’à rechercher les détails des bijoux, la coiffure et même dans la poignée de l'épée avec un raffinement tout féminin.

Texte de Giovanna Lazzi 

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Giuditta e OloferneJudith and HolofernesJudith et Holopherne

Michelangelo Merisi detto il CaravaggioMichelangelo Merisi known as CaravaggioMichelangelo Merisi dit Le Caravage

Proviene dalla collezione del mercante genovese Ottavio Costa, che fu uno dei raccoglitori più antichi e più fervidi dell'opera giovanile di Caravaggio. Fu lui che in seguito gli procurò la chiamata a Malta, dopo averne acquistato un quadro dipinto durante la fuga da Roma e la sosta nella campagna romana presso don Marzio Colonna. Quest'opera è l'esempio più antico dell'intento di mettere in evidenza la tragicità del momento rappresentato e la crudezza dell'evento. La decollazione di Oloferne è dipinta con una franchezza e con una volontà di penetrare nell'orrore del momento, che è veramente al livello massimo della capacità espressiva di Caravaggio.

Commento di Ferdinando Bologna

 

APPROFONDIMENTO

Il quadro rappresenta la storia biblica di Giuditta che sedusse ed uccise il generale assiro Oloferne. La bellezza sensuale eppur innocente dell'eroina esaltata dal bianco luminoso della camicia mossa nello studiato panneggio, si esalta nel seno colmo e teso nello sforzo di sferrare il colpo, e nel volto bellissimo ma dalla fronte corrugata e la bocca socchiusa nell'impegno dell'impresa eccezionale. Fa da contrappunto il profilo rugoso dell'ancella che assiste inorridita con il terrore e l'orrore negli occhi sgranati e le mani strette intorno alla bisaccia, esaltando per contrasto. proprio in quanto brutta e vecchia, i valori morali della protagonista. Ma il fulcro della scena è nel volto straziato di Oloferne, la bocca spalancata nell'ultimo grido, il fiotto di sangue che zampilla dall'ampia ferita, resa più evidente e orrenda dai margini aperti mentre le braccia tese della giovane tirano la testa accentuando la percezione del distacco. Caravaggio sceglie di fermare l’azione nel momento di massima tragicità, al confine tra la vita e la morte, tanto da suggerire anche significati allegorici, come la vittoria della Virtù sul Male, (Calvesi) o altrimenti la supremazia della Chiesa cattolica sull’eresia luterana. 

Il dipinto rappresenta un momento di svolta nella pittura del Caravaggio, segnando il passaggio verso la ricerca luministica più accentuata: la luce plasma le figure accese dal brillare del bianco del lenzuolo, della camicia e persino della perla a goccia che accentua ancor di più il rossore delle guance, modellate dai chiaroscuri e dai contrasti cromatici, come il rosso del tendaggio e l'argento della scimitarra. Sembra che la cortigiana Fillide Melandroni, amica dell'artista, sia la modella di Giuditta mentre il pittore stesso si sarebbe rappresentato in Oloferne con risvolti psicologico simbolici non trascurabili. L'interpretazione fedele alla storia biblica si carica di un'emotività drammatica, declinata al maschile, certo molto diversa dallo spirito tutto femminile, invece, di una Artemisia Gentileschi.

Testo di Giovanna Lazzi

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The painting depicts the biblical story of Judith who seduced and killed the Assyrian general Holofernes. The heroine’s sensual but innocent beauty stands out from the luminous white of the blouse moved in the studied drapery and culminates in the rich breast, tense in the effort of dealing the blow, and in the face, beautiful despite the frowning brow and mouth ajar in the performance of the tremendous deed. She juxtaposes the rigged profile of the handmaid, assisting aghast, terror and horror in her wide eyes, hands tight around the sack, heightening the main character’s moral values by her ugliness and old age. But the fulcrum of the scene lies in Holofernes’ torn face, the mouth gaping in the final cry, the gush of blood squirting from the wide wound, made more evident and horrendous by the open edges while the youth’s tense arms drag the head, emphasising the perception of distance. Caravaggio chooses to halt the action at the moment of highest tragedy, at the border between life and death, so as to imply allegorical meanings too, such as the victory of Virtue over Evil (Calvesi) or the supremacy of the Catholic Church over Lutheran heresy. 

The work represents a turning point in Caravaggio’s painting, marking the passage towards more accentuated lighting research: the light forms the figures, bright with the shining white of the sheet, blouse and even the pearl bead that emphasises still further the flush of the cheeks, modelled by chiaroscuri and chromatic contrasts, such as the red of the curtain and the silver of the scimitar. It seems that Fillide Melandroni, a friend of the artist, is the model for Judith, while the painter himself is portrayed in Holofernes, with remarkable psychological, symbolic results. Faithful interpretation of the Biblical story is charged with dramatic, male-oriented emotion, quite different from the wholly female spirit of Artemisia Gentileschi.

Text by Giovanna Lazzi 

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Le Judith et Holopherne de la Galerie nationale d’art ancien de Rome provient de la collection du marchand génois Ottavio Costa, qui fut l’un des plus fervents collectionneurs de l’œuvre de jeunesse du Caravage, et ce fut même celui qui, par la suite, provoqua l’appel à Malte, après avoir fait l’acquisition d’un tableau peint au cours de sa fuite de Rome et de sa halte dans la compagne romaine auprès de don Marzio Colonna. Cette œuvre est l’exemple le plus ancien de son intention de mettre en évidence le tragique de l’instant représenté et la brutalité de l’événement : la décapitation d’Holopherne est peinte avec une franchise et une volonté de pénétrer dans l’horreur de l’instant qui se situe véritablement à l’échelon le plus élevé dans la capacité expressive du Caravage.

Commentaire de Ferdinando Bologna